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Di cosa parla l’ecofemminismo?

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L’ecofemminismo è una corrente del femminismo che nasce dalla connessione tra diversi movimenti sociali: quello femminista, quello pacifista e quello ecologista. L’ecofemminismo è il riconoscimento che il modello culturale ed economico occidentale si è sviluppato sfruttando le risorse naturali e le popolazioni più povere. Si è costituito e mantenuto attraverso la colonizzazione delle donne, dei popoli stranieri, delle loro terre e della natura. L’ecofemminismo sembra essere un modello di lotta e speranza contro il dominio dell’uomo sulla natura, in quanto si propone di indagare le intersezioni tra sessismo, razzismo, specismo, classismo.
Alcune ecofemministe hanno sostenuto che il sistema capitalista e patriarcale metta in atto una dominazione tripla: dominio sui popoli colonizzati, sulle donne e sulle risorse naturali. Tutto questo si trova al centro delle analisi dell’ecofemminismo, che mostra l’esistenza di un nesso diretto tra l’ideologia capitalista, il patriarcato, lo sfruttamento delle persone, il degrado ambientale. Così come il patriarcato ha controllato e subordinato la donna, così il sistema capitalistico ha fatto con la natura, considerandola come un qualcosa di sua proprietà, da dover sfruttare per affermare la sua posizione di dominio.

 

Due correnti di Ecofemminismo


L’ecofemminismo, quindi, propone una connessione tra l’oppressione delle donne e quella della natura nella società occidentale basata sulla logica del dominio e dello sfruttamento. Attualmente esistono varie correnti ecofemministe e tra le principali si distinguono l’ecofemminismo essenzialista con varianti spiritualiste e teologiche diffuse e l’ecofemminismo materialista o costruttivista.

 

L’ecofemminismo essenzialista


Chiamato anche classico, sosterrebbe che le donne per la loro capacità di dare la vita, siano più vicine alla natura e tendano a preservarla. Qui risulta centrale il rapporto tra donna e natura. Questa impostazione accusata di ginocentrismo ha incontrato una forte opposizione nella cosiddetta “corrente costruttivista” o materialista.


L’ecofemminismo materialista o costruttivista

Questa corrente respinge il legame donna-natura utilizzato proprio per legittimare la subordinazione delle donne agli uomini, portando avanti l’eredità della differenza “sesso – genere” di Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa” (Il secondo sesso, 1949). L’ecofemminismo costruttivista rifiuta qualsiasi sfumatura essenzialista e assume come temi di indagine la divisione sessuale del lavoro, la distribuzione del potere e della proprietà. Il ruolo delle donne nella difesa della natura sarebbe sì importante, ma per ragioni storiche ed economiche.

 

Le origini dell’ecofemminismo


La letteratura attribuisce all’ecofemminismo “biografie” diverse con diversi inizi, temporali e geografici, perciò non è facile tracciarne l’inizio. Si potrebbe dire che l’ecofemminismo è un movimento sociale iniziato negli anni ‘60 grazie alle espressioni pacifiste ed antimilitariste dell’epoca; o si potrebbe pensare che la teorizzazione dell’ecofemminismo sia partita negli anni ’70 in Francia, dove è stato coniato il termine “ecofemminismo” nel 1974 da Françoise d’Eaubonne.
Ma le origini sono ben più antiche: Una leggenda indiana narra che trecento anni fa, molte donne della comunità Bishnoi nel Rajasthan (India), guidati da Amrita Devi, sacrificarono le proprie vite per salvare dall’abbattimento dei khejri, alberi sacri, cingendoli con le braccia. Inizia con quest’evento la storia del movimento Chipko (Chipko in hindi significa “aggrapparsi”). Nel mezzo dell’Himalaya, negli anni ’70, le donne Chipko creano il movimento Hug The Tree Movement. La difesa degli alberi avviene attraverso il proprio corpo, il quale diventa lo strumento di lotta per difendere la foresta, fonte di sostentamento della loro società. L’abbraccio delle donne di Chipko agli alberi era l’abbraccio alla vita. Il sistema di sviluppo occidentale iniziava i processi di deforestazione, desertificazione, e inquinamento dell’acqua, che portò gravi conseguenze per la popolazione e per l’ambiente. Tuttavia, le donne sapevano che la difesa dei boschi comunali di querce e di Garhwal era imprescindibile per resistere alle multinazionali straniere che minacciavano il loro modo di divere. Per le donne, il bosco era molto più di una fonte di approvvigionamento di legname che avrebbero portato un guadagno. Vi era una forte tutela verso le foreste, le quali erano considerate fonte di vita, un ambiente sano e pulito, la salvezza di un ecosistema globale. Il movimento Chipko è uno degli esempi più conosciuti dell’ecofemminismo, un dialogo tra la sostenibilità ecologica e il legame che si può instaurare con la natura.

 

Esperienze ecofemministe

La partecipazione femminile alle lotte a carattere sociale ed ecologico è stata e continua ad essere presente. A Greenham Common, nel 1981, le femministe furono in prima fila nella protesta non-violenta contro la base militare inglese in cui si stavano per ospitare armi nucleari; il movimento Chipko nel nord dell’India, di cui abbiamo parlato prima, che all’inizio degli anni settanta si oppose mediante resistenza non violenta allo sfruttamento commerciale dei boschi dell’Himalaya; la Campagna Laxmi Mukti, sempre in India, fu promossa da donne che si proponevano di conseguire l’accesso alla proprietà della terra e la promozione di un sistema di produzione agricola ecologica in opposizione al modello prettamente agro-industriale; importanti i movimenti delle donne in agricoltura, braccianti che lottano contro il caporalato o contro l’espropriazione dei terreni. Figura importante da citare è sicuramente Vandana Shiva.

Tra i numerosi premi, onorificenze, l’impegno di Shiva è rivolto soprattutto alla battaglia contro gli Ogm e le multinazionali agroalimentari, e quindi allo sfruttamento dei terreni, alla standardizzazione delle sementi, promuovendo un’agricoltura biologica, equa sia per l’ambiente che per gli agricoltori. Ricordiamo poi le donne native dell’America Latina, le quali hanno iniziato ad organizzarsi per rivendicare le terre ancestrali e rifiutare i progetti delle multinazionali, rivolti solamente ad uno sfruttamento del territorio. Il Fronte delle Donne Custodi dell’Amazzonia ha denunciato le attività estrattive delle multinazionali che sono la causa scatenante di un’enorme contaminazione e dell’espulsione dei popoli nativi dalle proprie terre.

La partecipazione delle donne nel movimento internazionale per la Sovranità Alimentare ha dato luogo alla Dichiarazione di Nyéléni (Mali, 2007). In questo documento, si chiede che le donne siano riconosciute come le pioniere del sapere popolare dell’agricoltura e come le custodi della biodiversità quando si occupano della conservazione e dello scambio dei semi autoctoni. Si ricorda inoltre che sono coloro che producono l’80% degli alimenti nei paesi più poveri.

In sintesi, possiamo considerare l’ecofemminismo come una lotta alle disuguaglianze che si intersecano. È una lotta al patriarcato, al sistema capitalistico, allo sfruttamento della natura e dei popoli. Solo attraverso l’unione di queste battaglie di possono costruire alternative al sistema che ha sempre dominato questo mondo.

 

Angela Petrungaro, classe 1994, ho conseguito la laurea triennale in Discipline Economiche e Sociali e la laurea magistrale in Scienze per la Cooperazione e lo Sviluppo presso l’Università della Calabria. Nel mio percorso universitario ho avuto modo di formarmi in diversi settori, dallo studio della Geopolitica, ai Fenomeni Migratori e in particolare ho potuto approfondire gli Studi di Genere. Ho svolto un tirocinio formativo presso ActionAid Italia, collaborando al progetto Youth For Love, incentrato al voler abbattere gli stereotipi di genere tra i giovani. Gli Studi di Genere mi hanno permesso di approfondire dinamiche che mi hanno sempre incuriosita sin da piccola: da questioni legate alla subordinazione delle donne, alla sessualità nel senso più ampio, all’accettazione e all’inclusione di ciò che viene considerato diverso dalla società.