Estate libri 2022: Tre consigli di lettura
Forse mi accade perché per me i libri sono cosa privata, come quando si vive una determinata esperienza, la si racconta solo quando la si vuole condividere oppure augurarla a qualcuno.
Leggo e ascolto tanto, tra libri e audiolibri sono assorbita da narrazioni, pensieri, riflessioni, luoghi… così tanto che spesso fatico a ricordare se i personaggi letti fanno parte della mia vita o del mio immaginario. E così prima di una breve pausa estiva, come da consuetudine ecco i famigerati consigli di lettura.
Ne propongo solo tre, i primi che mi sono venuti in mente, gli ultimi libri che mi hanno fatto bene al cuore, al cervello e che mi hanno lasciato la nostalgia del rientro dopo un viaggio bellissimo.
Note: leggi responsabilmente e acquista se puoi in libreria
Madeline Miller, Circe, Marsilio editori
La storia della maga Circe, prima e dopo l’incontro con Ulisse, raccontata direttamente in prima persona. Dalla nascita all’esilio sull’isola di Eea dove la sua vita incrocia quella di altri personaggi della mitologia greca, fino all’epilogo finale della sua trasformazione nella sua vera natura.
Ho amato profondamente questo libro. Elogio all’autodeterminazione di una ninfa che si emancipa prima da sé stessa, poi da suo padre che ne determina limiti e possibilità ed infine dalla sua immortalità. Pare poco?
“Elios non era un Dio che si potesse convocare, ma io ero la figlia indocile che aveva conquistato la coda di Trigone. E, come ho già detto, gli Dei amano le novità. Sono curiosi come scimmie. Emerse dall’aria. Indossava la corona, e i suoi raggi trasformarono in oro la mia spiaggia. (…) Quanti anni avevo trascorso da bambina a scrutare i suoi lineamenti luminosi per indagare i suoi pensieri, alla ricerca di un barlume che portasse il mio nome. Ma lui era un’arpa con una sola corda, capace di suonare un’unica nota: la propria.
<< Dei miei figli sei sempre stata la peggiore>> disse. <<Fai in modo di non disonorarmi.>>
<< Ho un’idea migliore. Farò quello che mi pare, e quando conti i tuoi figli, lascia fuori me.>>
Circe la ninfa che per millenni vive solo per compiacere lo sguardo benevolo altrui, educando la sua natura, finché essa diventa sostanza e forza, rivelandosi a Circe e agli Dei, ma come spesso accade (anche a noi comuni mortali) ciò viene accolto con l’esilio e allontanamento. Vive l’amore con assoluta dedizione, ma ci vorranno secoli e secoli per gioirne, e solo quando finalmente sceglierà di emanciparsi anche da chi l’ha ripudiata facendola sentire sbagliata per l’eternità (e di volgere lo sguardo verso sé) che arriverà quell’amore che non solo sa comporre i tuoi pezzi sparsi chissà dove, ma ti eleva permettendoti di accarezzare le tue fragilità. Circe è colei che si innamora di Ulisse, ma che non gli impedirà mai di tornare da Penelope, perché sa che l’amore è anche saper lasciare andare, creare nuovi spazi e scenari anche per sé che non siano travestiti da attese. Il mito quindi che sceglie di evolversi e nutrirsi grazie alla vulnerabilità e la fragilità umana. Con la sua scrittura scorrevole e ricca di dettagli, Madeline Miller finisce per scavare dentro ogni azione di Circe, smascherando, con la stessa voce della protagonista, le emozioni e le ragioni che hanno plasmato una delle personalità più complesse della mitologia. Circe, in fondo, è sempre stata un’immortale controcorrente: alla compagnia dei suoi simili preferisce quella degli uomini, all’eternità attimi intensi di vita.
Non un consiglio di lettura, ma un libro davvero necessario.
“A quanti di noi sarebbe concesso il perdono se si conoscesse la verità dei nostri cuori?”
Madeline Miller
Ha un dottorato in lettere classiche alla Brown University e ha insegnato drammaturgia e adattamento teatrale dei testi antichi a Yale. Il suo primo romanzo, La canzone di Achille (Sonzogno, 2013), è stato un successo internazionale, ha vinto l’Orange Prize ed è stato tradotto in venticinque lingue. Pubblicato negli Stati Uniti e nel Regno Unito nel 2018, Circe (Sonzogno, 2019) ha scalato le classifiche dei libri più venduti del New York Times e del Sunday Times ed è stato “libro dell’anno” per le principali riviste letterarie americane.
Tutta la stanchezza del mondo, Enrica Tesio, Bompiani
“Mi stanca essere scema. Si pensa che sia scemo chi non riesce a farsi entrare le cose in testa, quando è evidente che è scemo chi non riesce a farle uscire certe cose dalla testa. Ossessioni, paure, idee nocive.”
“Mi piacerebbe essere una di quelle persone in grado di posticipare una discussione “ne parliamo domani, ora sono troppo stanco”. Le persone stanche sono faticose, perché le persone stanche non parlano e mi lasciano sola.”
“La famiglia naturale è fatica, accettare un unico modello e seguirlo è faticoso, forzato, non prevede la complessità, l’umanità, meno che mai il dubbio. L’unica famiglia naturale che conosco io è quella da cui naturalmente scappi 100 volte è a cui naturalmente torni per 101. Lo spareggio dell’amore fa la differenza, quella volta in più, non il sesso di appartenenza, non la fertilità, il numero di figli o cicciobelli. Mi stancano anche le frasi come “mia madre è la mia eroina”, “mio padre il mio mito”, “mio figlio l’unico uomo della mia vita”. In generale mi affatica l’angiografia dei sentimenti: le persone sono capaci di fare meraviglie, ma non esistono persone meravigliose tout court, nemmeno se sono i nostri parenti. Sono contraria ai santini, non è un caso che i santi siano tutti morti.”
L’11 febbraio 2013, nel cuore di una serata di ordinario delirio tra figli piccoli, lavoro arretrato e incombenze domestiche, dalla tv arriva una notizia stupefacente: il papa si è dimesso. Non è malato, non è in crisi spirituale, è afflitto dalla patologia del secolo, la stanchezza. In quel momento Enrica Tesio si sente “parte di qualcosa di grande e insieme sola in modo assoluto”. Perché no, noi non possiamo dimetterci. Noi siamo il popolo del multitasking che diventa multistanching. Siamo quelli che in ogni istante libero “scrollano” pagine social per misurare le vite degli altri, quelli che riempiono di impegni il tempo dei figli per il terrore di non stimolarli abbastanza, quelli che di giorno si portano il computer in salotto per lavorare e la sera in camera da letto per guardare una serie ma intanto rispondere all’ultima mail… quelli che, per riposarsi, si devono concentrare.
Con il suo sguardo acuto e pieno di humour Enrica Tesio ci apre un diario privato di fatiche collettive, dodici per la precisione, come quelle di Ercole. Con un’unica raccomandazione: stasera, quando tornate a casa, date una carezza a un adulto stanco e ditegli “questa è la carezza dell’ex papa”.
Interessante l’analisi che ne emerge al capitolo (o meglio alla FATICA 2) Il Lavoro. Secondo Tesio siamo passati dalla “società disciplinare” in cui i soggetti erano educati all’obbedienza, a una “società del rendimento” ovvero il famigerato “Sii l’imprenditore di te stesso” … in pratica sii capo ma soprattutto schiavo di un sistema che ti usa illudendoti con la favola del “se vuoi puoi”. In questa analisi l’autrice sposa il ragionamento del filosofo Byung-Chul Han (La società della stanchezza. Nuova edizione ampliata, trad. Federica Buongiorno, Nottetempo, 2020), il sistema capitalistico del nuovo millennio ha imparato a farti lavorare senza riposo, perché ha scaricato sugli individui le colpe del sistema stesso. Quale mirabile equazione quella di costringerci a una continua rincorsa alla prestazione e, nello stesso tempo, invitarci a esplorare soltanto ciò che ci fa felici, negando ogni negatività? “La felicità è uno dei brand più esportati dagli Stati Uniti” afferma Enrica Tesio, “una vera industria globale in cui il solo business del coaching genera oltre due miliardi di dollari l’anno.”
Il padre della psicologia positiva, lo studioso Martin E.P. Seligman, e tutti coloro che hanno basato il loro lavoro sul propagandare questa filosofia, son diventati davvero felici: perché se il denaro non fa la felicità, ne è sicuramente un componente essenziale. E poi ancora fatica primaria: La Casa “Bella casa mia, ma non ci vivrei” ovvero di come la stanchezza, dopo il 2020, si misuri in metri quadri calpestabili. Nell’era d.C. (vale a dire dopo il Covid), scrive Tesio, “che la casa non sia un albergo lo sappiamo, perché è un ufficio, una scuola, una palestra, una sala giochi, un ristorante, un cinema, un set fotografico, un ospedale. È tutto tranne ciò che dovrebbe essere, cioè il luogo dove tornare dopo una giornata di impegni, lo spazio del riposo. Là dove mia nonna era solita affermare puntuale alle diciotto e trenta: ‘Mi siedo ora per la prima volta da stamattina’.” Libro consigliato anche in formato audiolibro, io l’ho ascoltato su Storytel letto da Tamara Fagnocchi
Enrica Tesio
Blogger e scrittrice, ha tre figli e un mutuo inestinguibile. Fa la copywriter da quando aveva vent’anni. Nel 2015 ha pubblicato per Mondadori La verità, vi spiego, sull’amore, dal quale è stato tratto un film con la regia di Max Croci. Nel 2017 è uscito per Bompiani Dodici ricordi e un segreto. Nel 2019 ha pubblicato per Giunti Filastorta d’amore. Rime fragili per donne resistenti, che è diventato uno spettacolo teatrale.
Il piacere rimosso. Clitoride e pensiero, Catherine Malabou, Mimesis 2022
Cancellata dalla storia del sapere e dei corpi, oggi la clitoride è finalmente al centro di molte ricerche e pratiche. Anche all’interno del pensiero femminista il discorso si è trasformato e la clitoride è diventata una fonte di piacere che non appartiene più necessariamente alle donne, sovvertendo così una visione tradizionale della sessualità e del genere. Nonostante questa riscoperta, Catherine Malabou ci ricorda una ferita che tarda a sanarsi, violenze a cui ancora ci si trova a far fronte, dalle mutilazioni genitali al piacere negato a milioni di donne. La clitoride resta così il “luogo enigmatico del femminile” e di questo enigma l’autrice scrive con “tocchi” leggeri, in equilibrio tra apparizione e scomparsa, lasciando che sia l’organo stesso a parlare attraverso le voci di chi ne ha rivendicato l’esistenza.
Che il centro del piacere femminile, apparentemente minuscolo, possa essere il punto di partenza per una riflessione femminista sul ruolo della donna e sulla sua identità, non è cosa nuova nel dibattito filosofico.
Già Carla Lonzi, negli anni ’70, nel pieno di quello che viene comunemente definito femminismo della seconda ondata, aveva utilizzato gli organi genitali femminili per descrivere la questione femminile, in quel suggestivo, interessante e approfondito scritto che è La donna vaginale e la donna clitoridea.
La clitoride, quindi, come strumento – filosofico e simbolico – per raccontare l’evolversi del patriarcato, e come oggetto di una rimozione, tanto simbolica quanto fisica. Ne Il piacere rimosso, Catherine Malabou rievoca la storia della clitoride, ripercorrendone la rimozione sino alla sua riscoperta, rievocandone l’elaborazione femminista in materia. Sottolinea la centralità rivestita da quest’organo nell’elaborazione dell’identità femminile e nella lotta all’emancipazione. Le ragioni per cui leggere Il piacere rimosso di Catherine Malabou sono espresse in maniera molto condivisibile da Jennifer Guerra, nella prefazione all’edizione italiana. All’indomani dal naufragio del DDL Zan, che avrebbe introdotto nel Codice penale una serie di aggravanti, con conseguente inasprimento delle pene, in tutti i casi di discriminazioni fondate sul sesso, genere e identità sessuale risulta fondamentale non abbandonare il dibattito sull’identità di genere. L’emersione di femminismi intersezionali, di una vera e propria corrente trans-femminista spesso in forte contrapposizione con i femminismi radicali più datati ma ancora esistenti rischia di inibire e rendere sterile il dialogo, rendendo vana ogni forma di lotta di emancipazione, ancora necessaria.
Al contrario, recuperando la componente simbolica ed identitaria della libertà femminile, è possibile riconoscere l’esistenza di altre soggettività. Malabou propone un parallelismo interessante tra clitoride e anarchia, nella sua accezione di “ordine senza potere”, e non anche di caos: “La complicità tra clitoride e anarchia è data innanzitutto dal destino comune di clandestinità, dall’esistenza segreta, nascosta, misconosciuta. Anche la clitoride è stata a lungo considerata un’agitatrice, un organo di troppo, inutile, che si fa beffe dell’ordinamento anatomico, politico e sociale con la sua indipendenza libertaria e la sua dinamica di piacere distante da ogni scopo e principio. Una clitoride non si governa. Malgrado tutti i tentativi di trovarle dei padroni – l’autorità patriarcale, il diktat psicoanalitico, l’imperativo morale, il peso della tradizione, il piombo dell’ancestralità – lei resiste. Resiste alla dominazione proprio perché è indifferente al potere e alla potenza”.
Riconoscere la correlazione tra clitoride e piacere femminile non equivale ad un’adesione all’essenzialismo, che largo seguito pare trovare in una frangia di femministe radicali trans- escludenti, che definiscono ed individuano le donne attraverso il ricorso al mero dato biologico: “Affermare che il sesso della donna è la clitoride significa proprio che la “donna” non si riferisce né a un’identità sostanziale né a un’essenza ma a un soggetto che deve costruire la propria libertà sessuale, intellettuale e politica fuori dal vincolo della riproduzione e dell’ideologia della cosiddetta maturità vaginale”.
Catherine Malabou
Docente presso il Centre for Research in Modern European Philosophy (CRMEP) della Kingston University. La sua ricerca, di portata molto ampia, spazia dalle neuroscienze alla filosofia, dalla psicanalisi al femminismo.