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Chi sono gli “Uomini vittime di violenza fisica, psicologica e giudiziaria”?

S pesso si dice che gli uomini non parlano di violenza di genere sulle donne. Che non si esprimono, che non prendono posizione su un argomento che li coinvolge in prima persona, che non si assumono responsabilità ma, al contrario, si trincerano dietro quello che è ormai diventato un mantra: “not all man”.
E là dove una presa di coscienza collettiva manca si insinua il vittimismo individuale, che se sfugge al controllo può trasformarsi facilmente in odio. Perché alcuni uomini di violenza di genere parlano eccome, ma lo fanno tra di loro, con le logiche del branco, animando rancore e misoginia attraverso gruppi social dove il nemico è uno e uno solo: la donna.
Mi sono imbattuta nella pagina Facebook Uomini vittime di violenza fisica, psicologica e giudiziaria, che prende il nome dall’associazione Lega Uomini Vittime di violenza, e ciò che ho letto è agghiacciante.

 

Non è colpa del fantomatico patriarcato, bensì del femminismo

 

Post che sostengono che la maggior parte delle denunce per violenza sia falsa e provenga da donne che hanno come unico scopo quello di vendicarsi degli ex compagni, altri in cui si dice che i centri antiviolenza non dovrebbero esistere perché sarebbero solo un business sulle spalle dei contribuenti, altri ancora che abbracciano la tesi secondo cui le donne non vorrebbero la parità ma la sopraffazione degli uomini. Ogni notizia, anche quelle che non riguardano nello specifico casi di violenza o abusi, è buona per dare la colpa al genere femminile e costruire una narrazione a senso unico, nella quale gli uomini sarebbero costantemente messi all’angolo da una società guidata da femministe agguerrite che “faranno più morti del nazismo”.

Oggi si sono verificati 5 morti maschili sul lavoro e 0 femminili? Beh certo, le donne mandano i compagni a lavorare mentre loro sono a casa a fare nulla, come potrebbero morire?
Un uomo si è suicidato buttandosi dal cavalcavia? Chissà cosa deve avergli fatto l’ex moglie.
Un’esponente del clan Spada ha schiaffeggiato la maestra del figlio? La mafia femminile è sottovalutata.
Una collaboratrice di Donald Trump ha ucciso il proprio cane. “Le donne sono leader superiori e con loro al potere il mondo sarebbe un posto migliore” si diceva.

 

 

 

 

Questi e altri post con tesi deliranti bombardano pressoché costantemente il cervello di chi segue la pagina. Dopo quasi mezz’ora di scroll infatti mi accorgo di essere arrivata solo a un paio di giorni prima rispetto al post iniziale, e che le pubblicazioni giornaliere sono tantissime, commentate ognuna da decine, a volte centinaia, di utenti che nella migliore delle ipotesi si rivolgono alle donne sostenendo che “sono tutte così, non c’è niente da fare, nate cattive”, o apostrofandole come “marce”, “cagne”, “approfittatrici”.

 

Il divorzio come fonte di reddito femminile

 

Se tutte sono il nemico generico da abbattere, le ex mogli, ancor di più se madri, sono quello specifico sul quale l’orda di odiatori si riversa con maggior ferocia. L’argomento principale è infatti la condizione vessatoria nella quale i padri separati verserebbero, ridotti alla fame dalle megere che hanno sposato, impossibilitati a vedere i figli quanto vorrebbero e costretti a pagare gli alimenti da giudici che stabiliscono che “devono crescere con la madre, nella casa del padre”.
A rafforzare la tesi, sulla pagina si susseguono immagini – spesso create con l’Intelligenza artificiale – di uomini in catene, o in auto attorniati da rifiuti; o di bambini che piangono perché lontani dai papà.
Nessuna presa di coscienza accompagna questi post, nessuno dei follower si chiede mai perché la bilancia penda più spesso a favore delle madri, in che modo potrebbero esserne responsabili e soprattutto a nessuno viene mai in mente che questa, nel quadro generale, non rappresenti affatto una vittoria. In Italia lavora il 65% delle donne adulte senza figli, percentuale che si abbassa al 59% per quanto riguarda quelle con figli. Una su 5 lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio e il 40% passa da un full time a un part time involontario (con ovvia riduzione dello stipendio).
In uno scenario di questo tipo mi verrebbe da chiedere anche a uno solo dei commentatori attivi della pagina come pensa che queste persone possano mantenersi da sole, dal momento che la società in cui viviamo non dà loro quasi alcuna possibilità di farlo se sono in coppia, figuriamoci quando non lo sono più?
Ma domanderei anche se ha mai chiesto alla propria compagna come si sentisse a non riuscire più a svolgere la sua professione per il troppo carico di lavoro in casa e fuori casa, se ha mai preso in discussione di alleggerirlo quel carico, rinunciando alla sua di carriera. Le risposte probabilmente sarebbero balbettanti perché la realtà è che quando il patriarcato serve a far sentire molti uomini i Re della casa, quelli che portano il pane e i pantaloni in una gestione familiare che prevede la sottomissione femminile pressoché totale allora va tutto bene. Quando invece il giochino si rompe ecco che si pretende che l’ex moglie, che un tempo si voleva angelo del focolare, si emancipi di colpo e riesca a provvedere a sé e a figli di entrambi, diventati nel frattempo proprietà da spartirsi.
Oltre a una mancanza di conoscenza di base della legge italiana, ciò che emerge dai contenuti e dai commenti che si trovano sulla pagina Fb è il livore cieco verso il genere femminile, che sarebbe la causa della vita miserabile che la maggior parte degli iscritti sostiene di avere. E non sono pochi ma oltre 17.000, uniti e supportati dalla presidente dell’associazione stessa. Sì, una donna: Rita Fadda.
Sono andata a cercarla sul web e ciò che ho trovato non è un bello spettacolo. Il meglio di sé lo da in una puntata de La Zanzara in cui sostiene – sbraitando – che la parola femminicidio non esista e che gli uomini siano vittima di violenza al pari delle donne.
Forse la forza di questa realtà è in parte il fatto che al vertice ci sia proprio una donna, che molti vedono come un faro in confronto alle “femministe incattivite” e che fa credere loro che i deliri che portano avanti abbiano un senso, visto che anche qualcuno che gioca nella “squadra avversaria” li avvalla.

 

Hate speech: l’odio sui social che colpisce le donne

 

Chissà. Ciò che è certo però è che derubricare fenomeni simili a folclore o poco più è sbagliato e pericoloso, perché se è vero che molti degli iscritti probabilmente sono leoni da tastiera che nella vita non agiscono, tra di loro si nascondono anche tanti violenti, che hanno come unico scopo vedere le donne, quella che una volta ritenevano di loro proprietà ma anche le altre, annientate e sottomesse.
Uomini che rientrano a pieno titolo nella categoria degli Incel, un termine nato negli Stati Uniti e che descrive gli “involuntary celibate”, maschi eterosessuali convinti che il mondo li discrimini in quanto non attraenti e che le donne per lo stesso motivo neghino loro quello che reputano un diritto sacrosanto: il sesso. Una teoria assurda che negli anni si è autoalimentata di odio, diramandosi dal solo piano sessuale nelle direzioni più disparate, e dando vita a sottogruppi di misogini senza freni, che si incontrano virtualmente in chat Telegram o, come nel caso di Uomini vittime di violenza fisica, psicologica e giudiziaria, su Facebook. Spesso con profili fake ma non sempre, sicuri dell’impunità che la società in molti casi ancora oggi assicura loro.

Scrittrice compulsiva, ha iniziato a muovere i primi passi nel giornalismo occupandosi di cronaca e politica locale, per poi passare a collaborare con diverse testate nazionali, approfondendo soprattutto tematiche riguardanti femminismo, uguaglianza di genere e diritti. Nel 2020 ha pubblicato il libro Libertà condizionata sul diritto all’aborto in Italia dall’entrata in vigore delle legge 194 ad oggi; e nel 2021 Non siete Stato voi, che indaga le violenze da parte delle forze dell’Ordine, entrambi editi dalla casa editrice People. Femminista ultra convinta e appassionata di arte e make-up, non uscirebbe mai senza rossetto.