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L’amore romatico fa parte di una cultura dello stupro? Si muore per troppo amore o per troppo patriarcato? (o sono la stessa cosa?)

“Possiamo affermare che non avrebbe mai dovuto andare all’ultimo appuntamento? Ragazze state attente! Non andate mai agli ultimi appuntamenti. Imparate a difendervi!”

 

Questo è solo l’ultimo dei numerosi appelli diffusi per mettere in guardia le donne ed educarle alla difesa verso gli uomini quando accade l’ennesimo femminicidio.

Riusciamo a vedere cosa c’è di sbagliato, retorico e pericoloso in una “bonaria raccomandazione” come questa?

Ad esempio pensare che sia la donna a doversi preoccupare di non essere uccisa, invece che intervenire perché le violenze non si verifichino. Chiamato anche Victim Blaming è quel meccanismo che, davanti a un episodio di violenza di genere, porta le persone ad attribuire una certa colpa dell’accaduto alla vittima. E a pensare: “Se l’è cercata”. Arrivando così a scagionare, almeno in parte, il solo e unico responsabile del reato. Colpevolizzazioni della vittima quindi che giustificano e deresponsabilizzano i carnefici, spesso descritti come persone amorevoli ma distrutte dal dolore, come uomini che hanno ucciso perché amavano troppo.

L’amore, però, nulla ha a che fare con la violenza, come dimostrano le storie di femminicidio.

 

 

Di amore romantico (etero) si muore

 

L’amore romantico è lo strumento più potente per controllare e sottomettere le donne, soprattutto nei paesi in cui sono cittadine a pieno titolo e non sono (legalmente) proprietà di nessuno. “Per amore” molte donne si aggrappano a situazioni in cui vivono maltrattamenti, abusi e sfruttamento. “Per amore” ci si incontra con ragazzi orrendi che all’inizio sembrano principi azzurri, ma che poi ci truffano, si approfittano di noi o vivono a nostre spese. “Per amore” prendiamo insulti, subiamo violenza, disprezzo. “Per amore” molte donne cadono nella trappola dell’umiliazione e, a volte, vedono in questo un’intensa capacità di amare. “Per amore” ci sacrifichiamo, ci lasciamo annullare, perdiamo la nostra libertà, perdiamo le nostre reti sociali e affettive. “Per amore” abbandoniamo i nostri sogni e obiettivi; “per amore” gareggiamo con altre donne e diventiamo nemiche per sempre, “per amore” lasciamo tutto…

Amiamo in modo patriarcale: <<il romanticismo patriarcale è un meccanismo culturale per perpetuare il patriarcato, molto più potente delle leggi: la disuguaglianza nidifica nei nostri cuori. Amiamo a partire dal concetto di proprietà privata e dalla base della disuguaglianza tra uomini e donne. La nostra cultura idealizza l’amore femminile come amore incondizionato, disinteressato, arreso, sottomesso e soggiogato. Alle donne viene insegnato ad aspettare e amare un uomo con la stessa devozione con cui amiamo Dio o aspettiamo Gesù. Anche agli uomini viene insegnato ad amare attraverso la disuguaglianza. La prima cosa che imparano è che quando una donna si sposa con te, diventa “tua moglie”, un qualcosa simile a “mio marito” ma peggio. Gli uomini sembrano rimanere calmi mentre sono amati, così come la tradizione insegna loro che non dovrebbero dare troppa importanza all’amore nella loro vita, né lasciare che le donne invadano tutti i loro spazi, né esprimere pubblicamente i loro affetti o sentimenti. Tutto questo si spezza quando la moglie, la compagna, la fidanzata, decide di separarsi e di prendere la propria strada da sola. Poiché nella nostra cultura viviamo il divorzio o una separazione non voluta, come un trauma totale, gli strumenti a disposizione degli uomini sono pochi: possono rassegnarsi, deprimersi, autodistruggersi o reagire con violenza contro la donna che sostengono di amare>> Coral Herrera Gómez

 

 

Ma cos’è il patriarcato e che c’entra con il femminicidio?

 

<<Il patriarcato non è una caratteristica intrinseca maschile né una specie di associazione segreta in cui gli uomini si mettono d’accordo per sottomettere le donne. Il termine è stato usato inizialmente da sociologi e antropologi per descrivere una società in cui la figura del padre è al vertice della catena di comando della comunità. Le pensatrici femministe hanno poi adottato questa espressione per indicare più in generale un sistema in cui il genere è il principio organizzatore. Mentre le femministe radicali come Kate Millett credono che il patriarcato si manifesti innanzitutto attraverso la sessualità, le femministe marxiste hanno proposto una teoria che collega il patriarcato all’esclusione delle donne dai processi produttivi e al loro confinamento nella sfera domestica. Oggi quando si parla di patriarcato si allude a entrambe le cose: patriarcali sono tanto la cultura quanto la struttura sociale ed economica. Ciò ha un’altra, importante conseguenza, ovvero che anche le donne sono immerse e partecipano alla società patriarcale, interiorizzandone gli schemi di pensiero e le prescrizioni comportamentali. La differenza sostanziale è che il movimento femminista ha permesso a molte donne di riconoscere e liberarsi da queste richieste, impegnandole a costruire un modo diverso di pensarsi e vivere le loro vite. Per gli uomini, eccetto quelli che si avvicinano al pensiero femminista, questo processo deve ancora in larga parte avvenire. Parlare di cultura patriarcale e di cultura dello stupro non significa cancellare le responsabilità individuali o addossare la colpa a “tutti gli uomini”, ma sottolineare che tutti, a prescindere dal genere, siamo compartecipi di quella cultura>>

scrive Jennifer Guerra nel suo ultimo articolo per Fanpage.it

 

 

 

Cultura dello stupro e victim blaming: di cosa parliamo?

 

 

La cultura dello stupro è un insieme di fatti e luoghi comuni che incoraggiano l’aggressività sessuale maschile e incentivano la violenza contro le donne. Detta anche rape culture, il fenomeno mira a normalizzare e giustificare la violenza sessuale. In una cultura dello stupro, le donne vengono costantemente trattate alla luce del sole come oggetti: “valutate, toccate, maneggiate, possedute”, come se questo fosse normale e desse addirittura valore alla donna. Una cultura dello stupro lavora affinché sia interiorizzato e normalizzato il terrorismo fisico ed emotivo contro le donne. ” Fa ridere, è solo un complimento, un “avance” come un’altra”. Così facendo, la cultura dello stupro minimizza il senso della responsabilità di chi commette violenza e fa sentire la vittima carnefice.

Perché le persone colpevolizzano la vittima quindi? Le ragioni che si celano dietro il victim blaming sono piuttosto complesse e meritano un approfondimento a parte. Uno dei motivi per cui la società tende a scagionare il colpevole e ad attribuire la colpa alla vittima risiede nella teoria del “mondo giusto”, un’idea per cui le persone sono incapaci di accettare che le cose negative accadono anche a chi non le merita. Ai loro occhi, si tratterebbe di un rovesciamento ingiustificato dell’ordine sociale a cui, nell’impossibilità di trovare una risposta razionale, consegue la colpevolizzazione della vittima, trattata ingiustamente come capro espiatorio. Oltre a questa spiegazione, tale pratica affonda le proprie radici all’interno di una struttura sociale profondamente maschilista e patriarcale.

La scarsa capacità di interpretare realtà complesse, si denota anche (o soprattutto) quando si tratta di violenza domestica. Alla notizia dell’ennesima donna malmenata o uccisa dal marito/compagno/fidanzato/ex, non mancano le domande inopportune “perché non l’ha mai denunciato? O non l’ha lasciato prima?”

Spesso questa retorica spinge sempre più vittime ad autocolpevolizzarsi per trovare una giustificazione al comportamento violento della persona che amano e da cui si illudono di essere amate, arrivando a sopportare l’insopportabile, spesso fino alla morte.

 

 

Urge un’educazione affettiva e sentimentale nelle scuole

 

 

Come scrive Coral Herrera Gómez <<È necessario un cambiamento sociale e culturale, economico e sentimentale. L’amore non può basarsi sulla proprietà privata e la violenza non può essere uno strumento per risolvere i problemi. Le leggi contro la violenza di genere sono molto importanti, ma devono essere accompagnate da un cambiamento delle nostre strutture emotive e sentimentali. Perché questo sia possibile, dobbiamo cambiare la nostra cultura e promuovere altri modelli amorosi che non si basano su lotte di potere per dominare o sottometterci. Altri modelli di ruoli femminili e maschili che non si basino sulla fragilità di alcuni e sulla brutalità di altri. Dobbiamo imparare a rompere con i miti, a liberarci dalle imposizioni di genere, a dialogare, a godere delle persone che ci accompagnano lungo il cammino, a unirci e separarci in libertà, a trattarci con rispetto e tenerezza, ad assimilare le perdite, a costruire sane relazioni. Dobbiamo rompere con i circoli di dolore che ereditiamo e riproduciamo inconsciamente, e dobbiamo liberare le donne, gli uomini e coloro che non sono né l’uno né l’altro, dal peso delle gerarchie, dalla tirannia dei ruoli di genere e dalla violenza.>>

 

 

 

 

 

 

Ultimo appuntamento del festival culturale CHE NON SIA SOLO IL 25 NOVEMBRE, che si terrà il 24 novembre presso gli spazi di Io Calabria, in via XXIV Maggio 49 con il panel: “Non ti sembra di stare esagerando?” Violenza psicologica e Victm Blaming: quando l’uso delle parole è finalizzato a colpevolizzare, in toto o in parte, le vittime di violenza, in quanto corresponsabili dei trattamenti loro inflitti”. Violenza psicologica e victim blaming: quando l’uso delle parole è finalizzato a colpevolizzare, in toto o in parte, le vittime di violenza, in quanto corresponsabili dei trattamenti loro inflitti. Con la psicologa e psicoterapeuta Cecilia Gioia e con la docente dell’Università della Calabria Giusy Gallo.

Giornalista ed imprenditrice, esperta in tematiche riguardanti gli stereotipi di genere nella medicina. Titolare del centro Io Calabria e Direttrice di Io Calabria Magazine