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Essere o non essere (veri maschi o femmine), questo è il problema. Oppure decostruire il binarismo di genere

Q uanto le questioni di genere costituiscono una dimensione cruciale sia della vita personale degli individui sia delle relazioni sociali e istituzionali?
Quanto pregiudizi, ideologie, miti e silenzi che percorrono e costruiscono le identità di genere influenzano tacitamente la vita delle persone? Quali sono i processi di costruzione e di socializzazione al genere all’interno del contesto famigliare? Come nelle interazioni quotidiane uomini e donne modellino costantemente i propri comportamenti anche in base alla loro appartenenza di genere e come quest’ultima possa influenzare il panorama di vincoli e risorse con cui ciascuno dei membri della famiglia entra in contatto?

 

Che differenza c’è tra maschi e femmine?

 

Fin da piccoli, gli individui sono indirizzati verso il loro genere di appartenenza, a partire dalla nascita quando l’attribuzione del colore rosa alla femminuccia e il celeste al maschietto è ancora pratica diffusa. Ancora prima che il bambino o la bambina nascano, i genitori penseranno all’arredamento della cameretta. La stanza del maschio sarà di colore blu con toni vivaci, mentre la stanza della femminuccia sarà rosa con colori più tenui. Si inizia, dunque, con la scelta del colore della cameretta, del colore dei primi vestitini, dei giochi per passare allo sport, alla lettura, fino ad arrivare alle decisioni più importanti come la scelta degli studi e del ruolo lavorativo. Ad esempio, orientare le scelte di gioco, di studio e di vita in base al sesso di appartenenza e non in base alle personali inclinazioni è una componente alla base della creazione di stereotipi di genere.
Per poter comprendere meglio la questione di genere è necessario analizzare i concetti che sono alla base di questa tematica e prendere in esame i vari aspetti della stereotipizzazione dell’essere femminile e maschile.

 

Sesso e genere sono la stessa cosa?

 

Il sesso fa riferimento alle caratteristiche biologiche e anatomiche degli individui, mentre con il termine genere si intende il processo di costruzione sociale delle differenze biologiche. Il termine indica dunque i tratti sociali e culturali che danno significato al sesso, qualificando il comportamento, gli atteggiamenti e il vissuto in termini di mascolinità e femminilità. Essendo il genere una costruzione sociale, esso varia da cultura a cultura, è relazionale, sociale, flessibile e mutabile. Judith Butler, nel 1990, nel suo libro Corpi che contano analizza il concetto di performance sottolineando come il sesso non è un dato corporeo su cui si innesta il genere come costruzione sociale, ma è piuttosto una norma culturale di potere. Gli esseri umani inscenano nel corso della loro vita performance di genere, iterano comportamenti che li assoggettano alle norme di genere. Il genere è dunque uno stile corporeo, una serie di atti, una strategia culturale, una ripetizione e una simulazione. Il rapporto tra l’aspetto sociale e quello biologico è una tema molto denso, centrale per molti anni nel dibattito femminista. Tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, le studiose femministe hanno esplorato la complessa tematica della relazione tra genere e potere, focalizzandosi soprattutto sulla subordinazione femminile e sulla produzione e istituzionalizzazione del dominio maschile. Nel 1949 Simone De Beauvoir pubblica Il Secondo Sesso, un testo ancora seminale in merito alla condizione femminile. La celebre affermazione «Donna non si nasce, lo si diventa» sintetizza la riflessione di De Beauvoir, sottolineando come non è lo status biologico e psicologico a definire il destino della donna, è il suo status sociale e storico. Essere donna e essere uomo non è una condizione innata, ma piuttosto una costruzione sociale, fortemente influenzata dai valori che la società intende trasmettere. Sulla scia di De Beauvoir, Gayle Rubin, antropologa americana, afferma che il sesso, come noi lo conosciamo, è una costruzione sociale e formula il concetto di “genere sessuale”.
Dalla nascita quindi, il bambino/a inizia a conoscere e ad apprendere modi di sentire, di parlare, di interagire, di comportarsi che ne determinano, dal punto di vista sociale e culturale, l’appartenenza sessuale. L’educazione è una delle tappe essenziali nel percorso di socializzazione, apprendimento e crescita di un bambino/a. Il gioco costituisce un aspetto rilevante dell’evoluzione infantile e contribuisce alla maturazione, alla socializzazione e allo sviluppo dell’attività affettiva e mentale.

Essere veri maschi o buone femmine

 

A tal proposito, vi è ancora la convinzione secondo la quale esistano giochi “giusti” e giochi “sbagliati”, ossia giochi per i maschietti e giochi per le femminucce. Questo fenomeno è facilmente osservabile nelle pubblicità per bambini/e, nei cataloghi dei giocattoli e nelle vetrine degli stessi negozi di giochi, nei quali è visibile una differenziazione dei giocattoli in base al loro genere di appartenenza. Allo stesso modo, analizzando la letteratura infantile, in particolare alcune fiabe classiche e alcune immagini proposte negli albi illustrati per l’infanzia emerge una visione stereotipata dei ruoli di genere e una conseguente visione semplicistica e a tratti dicotomica del femminile e del maschile. Il ruolo di genere è rappresentato da determinate aspettative sociali e ruoli culturalmente determinati relativi a come gli uomini e le donne si dovrebbero comportare in una determinata società, cultura e in dato periodo storico.

 

Essere veri maschi o buone femmine oggi

Essere maschi o femmine oggi sta assumendo caratteristiche nuove e questo cambiamento sociale deve poter offrire lo spazio per una revisione di quella che è l’idea della mascolinità e della femminilità. Si tratta di prendere atto che essere donna, eterosessuale, casalinga e mamma non è l’unica possibilità e che, dall’altro lato, essere uomo, eterosessuale, lavoratore autonomo o dipendente e padre non è l’unica possibilità di vivere una vita piena e consapevole. Esistono una serie di forme alternative, apparentemente nuove, anche se da sempre esistenti, per dare spazio ad una costruzione identitaria soddisfacente. Dare spazio ad una cultura delle differenze in tutti i contesti, in particolare in ambito educativo, offre la possibilità di rivedere il concetto di categoria e i relativi giudizi di valore. Categorizzare, inteso come dar nome alle cose, non è un problema in sé. Il problema risiede nel fatto che a partire da queste categorie si possa incorrere nel rischio di strutturare, cosa che è purtroppo già accaduta nella storia e tutt’oggi accade, una società basata sul pregiudizio e sulla discriminazione. Questo tipo di società implica una serie di ricadute sui processi di costruzione dell’identità di genere e sessuale, coinvolgendo tutti gli attori sociali e non solo alcune categorie. Si tratta di un problema del singolo che si realizza a livello socio-culturale e, pertanto, va tenuto strettamente in considerazione, non soltanto dai professionisti del settore, ma da chiunque entri in relazione più o meno diretta con bambini, pre-adolescenti ed adolescenti.

 

Oltre il rosa e l’azzurro: decostruire il binarismo di genere

 

Quando si parla di “genere binario” ci si riferisce a un concetto che prevede la classificazione di genere basata esclusivamente sul sesso assegnato alla nascita anziché su un continuum o uno spettro di identità ed espressioni di genere. Il genere binario è, perciò, considerato limitante per chi non sente di appartenere a uno dei due generi definiti come “tradizionali”, maschio e femmina, per questo si parla di identità di genere non binarie.
Non-binary è uno spettro relativo all’identità di genere che ricade sotto il termine ombrello “transgender”. Le persone non-binary, infatti, si identificano con un genere diverso rispetto a quello assegnato loro alla nascita, non riconoscendosi nelle categorie di genere binarie. Le persone non binarie possono non avere un genere ed essere perciò agender o neutrois; identificarsi in due o più generi, come nel caso delle persone bigender o trigender; spostarsi tra i generi o avere un’identità di genere fluida in quanto genderfluid e via dicendo. Le identità di genere non binarie sono molte e varie.
Queste persone erano e sono posizionate come “altro” rispetto a ciò che nelle culture occidentali dal XIX secolo viene racchiuso nelle categorie di “uomo” e “donna”, senza essere necessariamente emarginate in quanto le categorie di maschio e femmina non costituiscono concetti né universali né validi per un sistema di classificazione del genere.

 

Un glossario

In Italia la discussione sulle varie definizioni delle diverse identità di genere è molto più recente rispetto ad altri paesi, in particolare quelli anglosassoni. Per questo molti termini che si usano in quest’ambito sono in inglese. Alcuni stanno diventando molto comuni, altri si leggono raramente, ma per le persone che li usano indicano cose diverse. Qui alcune terminologie:

• cisgender – gli uomini e le donne cisgender sono quelli che si riconoscono nel genere corrispondente al loro sesso biologico (esempio: ho la vagina, mi sento una donna), quindi la maggioranza delle persone per quello che sappiamo; ci sono persone cisgender eterosessuali e persone cisgender omosessuali;
• transgender – le persone transgender sono quelle che si riconoscono nel genere opposto al loro sesso biologico (esempio: ho il pene, mi sento una donna), oppure in un genere intermedio tra il maschile e il femminile;
• transessuale – parte delle persone transgender sono anche transessuali, cioè si stanno sottoponendo, o lo hanno fatto in passato, a un’operazione di transizione da un sesso all’altro; alcune di loro non si definiscono transgender ma semplicemente uomini o donne;
• genere non binario – nelle parole dell’attivista Ethan Bonali, che sul sito Pasionaria ha risposto ad alcune domande sull’identità di genere, «una persona con identità non binaria non si riconosce e non riconosce la costruzione binaria del genere, ovvero l’idea che esistano solo due generi, uomo e donna. In maniera più opportuna, sarebbe meglio riferirsi a una pluralità di identità non binarie e non a una sola»;
• genderqueer – un sottoinsieme delle persone di genere non binario: sono le persone che si oppongono agli stereotipi sui generi e si riconoscono in un mix personale di caratteristiche che possono essere associate al genere femminile o al genere maschile; si usa anche l’espressione “genderfuck” per chi vuole ribadire questa condizione in modo provocatorio;
• genderfluid – un sottoinsieme delle persone di genere non binario: sono le persone che a volte si riconoscono nel genere femminile, altre volte in quello maschile; ci sono anche le persone che si definiscono “gender questioning” perché si stanno ancora interrogando sulla propria identità di genere;
• agender – le persone che rifiutano di identificarsi in un genere;
• intersessuale – questo termine non ha a che vedere con l’identità di genere ma con quella sessuale: si usa per indicare le persone che non sono né maschio né femmina dal punto di vista biologico, che sia per come sono fatti i loro cromosomi sessuali, i loro ormoni o i loro genitali; qui potete trovare informazioni in più sull’argomento messe insieme dalle Nazioni Unite;
• LGBTQ+ – Lesbian – Gay – Bisexual – Transgender – Queer – + (intersessuale) è un acronimo utilizzato per definire la comunità d’individui il cui orientamento o identità sessuale non rientra nella concezione “tradizionale” del rapporto uomo-donna, cioè quello che fino a qualche decennio fa era considerato l’unico accettabile.

Nonostante il linguaggio sia in continua evoluzione, la lingua italiana non presenta ancora una valida alternativa per rappresentare tutte le identità di genere ma, nel corso del tempo, si è cercata una soluzione, infatti spesso vengono utilizzati l’asterisco (*), la chiocciola (@) e la schwa (ə) nello scritto oppure la “x”, la “u” o la perifrasi nel parlato. Questi artifici linguistici portano con sé il problema che debbano comunque venir spiegati e questo fa sì che si crei un’ulteriore separazione tra ciò che è considerato standard e ciò che non lo è.
La realtà cambia la lingua ma anche la lingua contribuisce a cambiare la realtà perché ciò che si nomina si vede meglio e nel vederlo meglio si comprende meglio.
Se la lingua stessa non consente l’esistenza di tali identità, questa si presenta come un’ulteriore sfida per chi ha un’identità di genere non binaria, che deve perciò ricorrere a una negoziazione con la società per il suo posto nel mondo.

 

Fonti:

Oltre il rosa e l’azzurro: decostruire il binarismo di genere – Eduxo.it

Cos’è l’identità di genere, spiegato bene – Il Post

 

Giornalista, direttirice e fondatrice di Io Calabria Magazine e Io Calabria Cosenza. Da sempre ho esplorato, indagato e lavorato con il "femminile" nelle sue svariate espressioni di vita. Culturali, di genere, imprenditoriali.