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Godersi il mare con un corpo grasso è possibile?

G odersi il mare con un corpo grasso è un gioco da equilibrista professionista, non di quelli spavaldi sul filo teso sopra al nulla, ma di quelli che lanciano in aria 5 birilli e li fanno danzare a ritmo di Macarena anni ’90. Voi li avete mai visti? No…Ci sarà una ragione!?

Avere un corpo grasso e occupare spazio pubblico senza dover giustificare la propria legittimità ad ogni sguardo indagatore altrui, è la base esistenziale di tutte le persone che vivono in un corpo non conforme a quella che oggi è considerata la taglia giusta. Perché sì, prima di arrivare in spiaggia, stendere il telo e togliersi (forse) il copricostume, bisogna percorrere una strada che traccia molte vie e svincoli, tutte hanno un nome non casuale e sono necessarie per raggiungere e occupare il tanto famigerato spazio in spiaggia.

 

Prova costume: per risolvere un problema che non esiste, imboccare via DIET CULTURE

 

La definizione di “cultura della dieta” è un insieme di convinzioni che valorizza la magrezza, l’aspetto e la forma al di sopra della salute e del benessere. Questo concetto affronta anche l’importanza delle restrizioni sulle calorie ed etichetta gli alimenti per buoni o cattivi. Quindi è un sistema di valori profondamente radicato nella società che attribuisce alla magrezza e alla perdita di peso un’importanza assoluta e uno status morale superiore, da raggiungere a ogni costo, attraverso la dieta del momento, cure miracolose, privazioni, superfood, detox ecc.
La cultura della dieta si fonda sulla grassofobia e contribuisce a creare ansie intorno al cibo e a conferire nell’atto di mangiare liberamente un alone peccaminoso: “Attenzione a non ingrassare! Essere grassi è brutto e pericoloso per la salute”… sarà vero? Esistono persone grasse che conducono stili di vita sani e si prendono cura di sé stesse e persone (bambini compresi) obesi, per uno stile di vita altamente rischioso, perché l’obesità è sì una malattia ma profondamente inquinata dalla grassofobia.

 

Essere grassi è una colpa: che aspetti a dimagrire?! Imbocca via GRASSOFOBIA

 

“Sei davvero carina, certo, dimagrissi un po’ saresti ancora più bella”, oppure “Hai davvero un bel viso. Peccato però per questi chili in più”. Queste sono solo alcune delle frasi infelici che le persone grasse si sentono dire da più o meno tutta la vita. Letteralmente la definizione di grassofobia, o fat shaming, è la paura e il disprezzo verso le persone grasse che si manifesta a più livelli: dai commenti – non richiesti – offensivi e spesso pungenti e fuori luogo, a vere e proprie discriminazioni sul piano sociale, che portano a una penalizzazione ed esclusione dei soggetti in sovrappeso.
Il disprezzo per il grasso è violento tanto quanto un’aggressione non verbale, e si manifesta anche nel linguaggio e in una serie di comportamenti che spesso riguardano anche le persone più vicine e “bonarie” ai soggetti grassi. Abbiamo interiorizzato così tanto il disgusto verso il grasso che non ci rendiamo conto di avere conversazioni e argomentazioni spesso offensive per chi è grasso. Ad esempio parlare negativamente del proprio corpo, specie se conforme agli standard di bellezza, davanti a qualcuno che non lo è, potrebbe essere emotivamente pesante per quella persona: “Se continuo così divento obesa/o” , “Mamma mia sono una balena!” , “Mi devo dare una regolata sto diventando una portaerei!”
Quante volte abbiamo pronunciato queste parole sentendoci liberi di farlo perché nel giusto? “Mica è una colpa non volere essere grassi!” Assolutamente vero ma … perché per descrivere una persona grassa utilizziamo milioni di eufemismi che servono solo ad evidenziare il disagio verso il grasso e la bruttura che rappresenta?

La cultura della dieta ha una forte influenza anche sulla percezione che abbiamo nei confronti di una persona che sta mangiando qualcosa, in relazione all’aspetto fisico. Consumando uno stesso alimento, spesso le persone magre vengono ammirate, lodate e compiaciute mentre quelle grasse sono criticate, derise e incolpate per quello che stanno facendo: semplicemente mangiare. Mangiare è un atto neutro, necessario alla sopravvivenza ma, soprattutto, alla vita.
Mangiare non dovrebbe assumere connotati positivi o negativi, così come un cibo non dovrebbe vestirsi di morale o di qualsiasi tipo di giudizio non richiesto. Le percezioni sono fatte di supposizioni, convinzioni spesso infondate, ipotesi e giudizi infangati di stigma e discriminazione.

 

Essere magri vuol dire essere in salute: questo lo possiamo dire? No! Chi mette in mezzo la questione della salute, spesso vuole riportare la conversazione alla sola responsabilità personale, per razionalizzare i preconcetti.
La salute è una responsabilità collettiva e, spesso, gli effetti della stigmatizzazione sono confusi con i presunti effetti del peso. La discriminazione uccide le persone, non il peso, non il grasso.

 

 

Accettare il proprio corpo quindi è la soluzione? Vi aspetto all’angolo di via FAT ACCAPTANCE

 

La body positivity o body positive movement è per definizione un movimento emerso dall’unione di quelle persone che volevano avere un atteggiamento positivo nei confronti del proprio corpo. È un termine ombrello, racchiude vari argomenti: l’accettazione del sé (fisico e spirituale), la liberazione dei corpi grassi, l’accettazione di tutte le tipologie di corpi e le loro caratteristiche, la lotta contro il body shaming, l’inclusività in ogni campo. Fat acceptance invece – tradotto in italiano è l’accettazione dei corpi grassi o del proprio corpo grasso – è un movimento nato in contemporanea con la prima ondata di body positive, è la volontà dei corpi grassi di volersi affermare e di dire anche loro: “io esisto”.

Nel 1973, fu pubblicato il MANIFESTO della fat liberation (Judy Freespirit and Aldebaran) che recita più o meno così (tradotto dall’inglese)

1. Crediamo che le persone grasse abbiano pieno diritto al rispetto e al riconoscimento umano.

2. Siamo arrabbiat* per i maltrattamenti subiti per interessi commerciali e sessisti, che hanno sfruttato il corpo delle persone grasse per renderlo ridicolo e creando un mercato redditizio che vende false promesse per evitare o alleviare quel ridicolo.

3. Vediamo la nostra lotta alleata alle lotte di altri gruppi oppressi contro il classismo, il razzismo, il sessismo, l’ageismo, lo sfruttamento finanziario, l’imperialismo e simili.

4. Chiediamo pari diritti in tutti gli aspetti della vita, come promesso dalla Costituzione, in particolare: la parità di accesso a beni e servizi di pubblico dominio e la fine della discriminazione nei confronti delle persone grasse nei settori dell’occupazione, dell’istruzione, delle strutture pubbliche e dei servizi sanitari.

5. Distinguiamo come nemici le cosiddette industrie “riducenti”, che includono i diet-club, i centri fitness, le cliniche dimagranti, i libri sulla dieta, gli alimenti dietetici e gli integratori alimentari dimagranti, le procedure chirurgiche e i soppressori dell’appetito. Esigiamo che si assumono la responsabilità delle loro false affermazioni e riconoscano che i loro prodotti sono dannosi per la salute, pubblicando studi a lungo termine che dimostrino l’efficacia statistica dei loro prodotti. Facciamo questa richiesta sapendo che oltre il 99% di tutti i programmi di perdita di peso se valutati in un periodo di cinque anni falliscono completamente e conoscendo la provata pericolosità di ampie e frequenti oscillazioni di peso.

6. Ripudiamo la mistificata “scienza” che afferma falsamente che le persone grasse siano inadatte; questo ha causato e sostenuto la discriminazione nei nostri confronti, in collisione con gli interessi finanziari delle compagnie assicurative, delle industrie della moda e dell’abbigliamento, delle industrie della dieta/fitness, dell’alimentazione e farmaceutica e delle istituzioni mediche e psichiatriche.

7. Ci rifiutiamo di essere sottomess* agli interessi dei nostri nemici. Abbiamo pienamente intenzione di rivendicare il potere sui nostri corpi e le nostre vite. Ci impegniamo a perseguire questi obiettivi insieme.

 

Questo Manifesto fornisce, ancora oggi, il linguaggio più adatto per una richiesta di assimilazione. La società attuale riconosce i corpi magri come conformi e permette alle persone magre di godere di un privilegio sistemico che permette loro di trovare facilmente la taglia dei pantaloni esposti nelle vetrine dei negozi, di mangiare il gelato più grande senza ricevere giudizi negativi, di non sospettare che abbiano malattie o valori di analisi ed esami alterati a prescindere. Il problema delle persone grasse all’interno della società non si basa sul livello di amore che provano per sé stesse, perché l’amore che sentono o meno guardandosi allo specchio non andrà ad eliminare le discriminazioni che subiscono giornalmente, ovvero come le persone sovrappeso vengano sistematicamente stigmatizzate, stereotipate e denigrate in quasi ogni aspetto della loro vita. Si devono preoccupare che le sedie ai ristoranti li reggano, che le cinture di sicurezza degli aeroplani siano abbastanza lunghe ed i sedili abbastanza spaziosi, ma non solo, spesso devono anche sperare che l’eventuale datore di lavoro non li ritenga inadatti a causa del loro aspetto fisico che, come appena detto, si porta dietro tanti stereotipi come per esempio quello della pigrizia e dell’incostanza, è quindi una battaglia a più livelli che non si risolve con “love yourself”.

 

Arrivate in spiaggia: i vostro posto è quello con la scritta BAD FATTY

 

Ora che abbiamo imboccato un po’ di vie e siamo arrivati finalmente in spiaggia sfoggiate se volete il costume che meglio vi rappresenta, tipo quello con la scritta BAD FATTY ovvero cattiva/o cicciona/e. Nell’ambito del fat activism, quando si parla di bad fatty ci si riferisce a chiunque rifiuti di conformarsi alla narrazione grassofobica che pretende scuse e giustificazioni per l’essere grassi. Mostrare il proprio corpo senza vergogna o senza doverlo giustificare, rende tutti temibili BAD FATTY felici di godersi qualche ora di sole, mare e caldo.

fonti: dietistanoemiperosillo.com , Belle di Faccia – Tecniche per ribellarsi ad un mondo grassofobico – Mondadori

 

Giornalista ed imprenditrice, esperta in tematiche riguardanti gli stereotipi di genere nella medicina. Titolare del centro Io Calabria e Direttrice di Io Calabria Magazine