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Interruzione volontaria di gravidanza (IVG): in Italia una donna può davvero scegliere liberamente?

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libertà di scelta di una donna rispetto al portare avanti o meno una gravidanza è regolata in Italia dalla legge 194, entrata in vigore nel 1978 a seguito di lunghe lotte, guidate prima di tutti dal Partito Radicale. Dopo oltre quarant’anni, però, la battaglia per il pieno riconoscimento di questo diritto può dirsi tutt’altro che vinta, visto che ancora troppe sono le criticità nel Paese.


Alessia Ferri, giornalista e scrittrice, ne ha scritto nel suo libro Libertà condizionata, edito da People. La direttrice di Io Calabria Magazine, Paola Sammarro, le ha fatto qualche domanda, non solo sul libro, sull’aborto, ma anche su cosa voglia dire essere madre, quanto – secondo l’autrice – la maternità sia più un costrutto sociale, che un naturale istinto femminile.

 

D: Alessia, hai scritto un libro impegnativo, diretto, che con “numeri alla mano”, ci fa notare che in Italia, la facoltà di abortire o meno, è influenzata da tantissime cose (culturali e politiche), tranne che dal diritto di scelta di una donna garantito dalla legge 194, messo costantemente in discussione. Che idea ti sei fatta, tra racconti istituzionali e privati?

 

R:Esattamente questa. Ho iniziato a pensare al libro dopo aver scritto di aborto in diversi articoli per varie testate. Fino ad allora conoscevo solo marginalmente la tematica e come tanti ero convinta che l’esistenza della legge bastasse a garantire tale diritto, ma dopo le prime testimonianze mi sono resa conto di sbagliarmi. La scelta in molte zone d’Italia, per non dire in tutte, è solo sulla carta, la realtà è ben diversa e raramente ha a che fare con le donne. O meglio, le donne esistono ma come soggetti passivi del processo visto che sono usate per portare avanti idee politiche, culturali e religiose funzionali a mantenere inalterata quella cultura conservatrice e patriarcale ancora dominante in Italia. Raramente ci si preoccupa davvero della loro salute.

 

D: Ho urgenza di porti una domanda in particolare: se iniziassimo a ragionare sulla maternità come costrutto sociale e non come un naturale processo femminile, qualcosa cambierebbe nella percezione della legge 194?

 

R: Credo di sì. Ancora oggi la maternità è considerata insindacabilmente la gioia più grande per tutte le donne e l’obiettivo primario da raggiungere per dirsi realizzate. L’idea che invece per qualcuna non sia così per molti è sconvolgente, per non dire inaccettabile.
Se iniziassimo a vederla invece come un semplice evento che possa verificarsi o meno nella vita di una persona, e non come un punto di arrivo, sono sicura che anche l’approccio all’aborto cambierebbe.

 

D:Tempo fa Matteo Salvini, disse che l’aborto non può essere la soluzione a stili di vita “incivili” e che dopo un certo numero di interruzioni di gravidanze, la pratica dovrebbe essere a pagamento. Fermo restando che l’ IVG è gratuita, quanto costa in realtà abortire in Italia? Dalla tua indagine emergono criticità al sistema. Da cosa sono dovute?

 

R:Se parliamo di quanto gravi sul sistema sanitario nazionale direi tanto, e l’assurdo è che potrebbe farlo molto meno. La maggior parte delle IVG si svolge con la tecnica chirurgica, il che significa pagare sala operatoria, strumenti e presidi medici, personale sanitario coinvolto nell’intervento e ricovero. Tutti costi che diminuirebbero notevolmente fino quasi a scomparire se fosse incentivato l’aborto farmacologico tramite pillola RU486 che però oggi è usata solo in circa il 20% dei casi.

 

D: Esagero se dico che il giudizio morale che una donna deve subire per poter abortire, è dato anche dal patriottismo?

 

R: Assolutamente no, anzi credo proprio che l’origine dello stigma sociale legato all’aborto derivi in buona parte da lì. Il patriottismo presuppone la perpetrazione della specie italica e se le donne decidono di rallentarla, anche solo un minimo, questo non può che essere percepito come una minaccia per chi ne fa il caposaldo della società.

 

D: Il titolo del tuo libro, Libertà condizionata, e l’intervista che contiene all’interno fatta alla senatrice Emma Bonnino, mi porta a chiederti se il vero interesse degli antiabortisti, sia quello di controllare le donne?

 

R:L’idea che mi sono fatta è esattamente quella. Il maschilismo governa da sempre la società e gli uomini sono storicamente abituati a comandare e decidere anche per le donne. Il processo di emancipazione femminile in corso sta facendo diminuire questo potere e l’unica via individuata per impedirlo è il controllo. Con questo non intendo dire che tutti gli uomini la pensino così, anzi, scatenare una guerra tra sessi è il modo peggiore per approcciarsi al tema sperando di cambiare le cose. Il problema è culturale e prescinde dal singolo individuo.

 

D: Successivamente all’uscita del libro è avvenuta una svolta importante: dopo dieci anni di obblighi e divieti, il ministro della Salute Roberto Speranza ha, infatti, recentemente annunciato l’introduzione di nuove linee per l’interruzione volontaria di gravidanza per via farmacologica. Cosa è cambiato quindi?

 

R:Finalmente anche in Italia, così come in buona parte d’Europa, è possibile effettuare l’aborto farmacologico in day hospital o presso la propria abitazione e fino alla nona settimana di gestazione (prima erano sette). Questo elimina l’obbligo di ricovero da uno a tre giorni in vigore fino ad ora, che rappresentava uno dei principali ostacoli all’utilizzo di questo metodo. Si tratta di una svolta storica da salutare con entusiasmo, che se dalla carta si tradurrà in un’applicazione effettiva e diffusa migliorerà notevolmente la vita delle donne. Non bisogna mai abbassare la guardia però, la strada per la piena affermazione dei nostri diritti è ancora molto lunga.

 

D: Dal rapporto Istat “Conciliazione tra lavoro e famiglia”, relativo al 2018 il tasso di occupazione delle madri che hanno tra i 25 e i 54 anni è del 57%, mentre quello dei padri è dell’89,3%. Le donne senza figli hanno un tasso di occupazione del 72%. Quando parliamo di IVG, parliamo anche di questo. Dacci una tua riflessione in merito…

 

R:Chi decide di non portare a termine una gravidanza lo fa per i motivi più disparati e a nessuno spetta giudicarli o anche solo conoscerli. Però è innegabile che fino a quando a un colloquio di lavoro verrà chiesto a una donna (e mai a un uomo) se abbia figli o sia intenzionata a farli, o al ritorno dalla maternità la sua posizione lavorativa sarà ridimensionata, la scelta di diventare madre o meno in molti casi non potrà dirsi realmente libera.

 

Grazie Alessia.

Giornalista ed imprenditrice, esperta in tematiche riguardanti gli stereotipi di genere nella medicina. Titolare del centro Io Calabria e Direttrice di Io Calabria Magazine