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CULTURA DELLO STUPRO, DI COSA PARLIAMO?

La

cultura dello stupro è un insieme di fatti e luoghi comuni che incoraggiano l’aggressività sessuale maschile e incentivano la violenza contro le donne. Detta anche rape culture, il fenomeno mira a normalizzare e giustificare la violenza sessuale.

In una cultura dello stupro, le donne vengono costantemente trattate alla luce del sole come oggetti: “valutate, toccate, maneggiate, possedute”, come se questo fosse normale e desse addirittura valore alla donna. Una cultura dello stupro lavora affinché sia interiorizzato e normalizzato il terrorismo fisico ed emotivo contro le donne.

 

” Fa ridere, è solo un complimento, un “avance” come un’altra”

 

Così facendo, la cultura dello stupro minimizza il senso della responsabilità di chi commette violenza e fa sentire la vittima carnefice.

 

Nel 1993, negli Stati Uniti, venne pubblicato il libro Transforming a Rape Culture, in cui le autrici Pamela Fletcher, Emilie Buchwald e Martha Roth diedero una definizione più estesa di “cultura dello stupro”:
«Un complesso di credenze che incoraggia l’aggressività sessuale maschile e sostiene la violenza contro le donne. Questo accade in una società dove la violenza è vista come sexy e la sessualità come violenta. In una cultura dello stupro, le donne percepiscono un continuum di violenza minacciata che spazia dai commenti sessuali alle molestie fisiche fino allo stupro stesso. Una cultura dello stupro condona come “normale” il terrorismo fisico ed emotivo contro le donne. Nella cultura dello stupro sia gli uomini che le donne assumono che la violenza sessuale è “un fatto della vita”, inevitabile come la morte o le tasse».

 

L’espressione “cultura dello stupro” è dunque molto ampia: non fa esclusivo riferimento allo stupro ma a una serie di pratiche e comportamenti – molto diffusi – come l’utilizzo di un linguaggio misogino, l’oggettivazione costante del corpo delle donne, il cosiddetto “slut shaming” (cioè la stigmatizzazione dei comportamenti e dei desideri sessuali femminili che si discostano dalle aspettative di genere tradizionali e di conseguenza la colpevolizzazione della vittima quando subisce una violenza, lo spostamento cioè su di lei della responsabilità o di parte della responsabilità, di quel che è accaduto).

 

La vergogna della sgualdrina, SLUT SHAMING


Lo slut shaming (puttana, vergogna) è il termine che indica la volontà di far sentire in colpa la donna per i propri desideri sessuali. È connessa alla cultura dello stupro, perché inculca nelle vittime di molestie che sia stato il loro atteggiamento sessualizzato ad invogliare e legittimare lo stupro.
In italiano la traduzione è “la vergogna della sgualdrina” ed è un neologismo nato in ambito femminista per definire l’atto di far sentire una donna sbagliata, inferiore, colpevole per i suoi atteggiamenti o desideri sessuali.

Tutti i comportamenti che si discostano dalle comuni aspettative di genere, dai diktat sociali, morali, possono produrre slut shaming: vestirsi in modo contrario all’abbigliamento socialmente “consentito”, avere numerosi partner sessuali, avere una sessualità fluida, cercare la contraccezione, sono tutti esempi di come, ancora oggi, donna e sesso siano due mondi pieni di pregiudizi, stereotipi e costrizioni che impediscono di vivere liberamente la sessualità.

 

Slut shaming: tra uomini e donne c’è un doppio standard di valutazione sessuale


E’ un doppio standard che associa agli uomini sex appeal, fascino e alle donne povertà di sentimento, svalutazione, debolezza, ma soprattutto un disvalore sociale. Così come il victim blaming, (in italiano, “ colpevolizzazione della vittima”), questi atteggiamenti tossici, mirano a spostare l’attenzione da chi commette aggressione, molestia, stupro, violenza sessuale, femminicidio, verso chi l’ha subito, spingendo la vittima o l’opinione pubblica a cercare un movente che giustifichi o spieghi il fatto.

 

Perché le persone colpevolizzano la vittima?


Le ragioni che si celano dietro il victim blaming sono piuttosto complesse e meritano un approfondimento a parte. Uno dei motivi per cui la società tende a scagionare il colpevole e ad attribuire la colpa alla vittima risiede nella teoria del “mondo giusto”, un’idea per cui le persone sono incapaci di accettare che le cose negative accadono anche a chi non le merita. Ai loro occhi, si tratterebbe di un rovesciamento ingiustificato dell’ordine sociale a cui, nell’impossibilità di trovare una risposta razionale, consegue la colpevolizzazione della vittima, trattata ingiustamente come capro espiatorio. Oltre a questa spiegazione, tale pratica affonda le proprie radici all’interno di una struttura sociale profondamente maschilista e patriarcale.

 

Victim blaming nelle violenze domestiche


La scarsa capacità di interpretare realtà complesse, si denota anche (o soprattutto) quando si tratta di violenza domestica. Alla notizia dell’ennesima donna malmenata o uccisa dal marito/compagno/fidanzato/ex, non mancano le domande inopportune “perché non l’ha mai denunciato? O non l’ha lasciato prima?”
Spesso questa retorica spinge sempre più vittime ad autocolpevolizzarsi per trovare una giustificazione al comportamento violento della persona che amano e da cui si illudono di essere amate, arrivando a sopportare l’insopportabile, spesso fino alla morte.

Giornalista ed imprenditrice, esperta in tematiche riguardanti gli stereotipi di genere nella medicina. Titolare del centro Io Calabria e Direttrice di Io Calabria Magazine