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Vulvodinia: è solo nella mia testa?

Sempre

più frequentemente si sente parlare di vulvodinia, ma capita che sia difficile da diagnosticare e così molte donne o si tengono per sè questo dolore o si rassegnano pensando sia “normale”.

 

Cosa è la vulvodinia?

 

La vulvodinia colpisce il 12-15% delle donne, ma è un disturbo fortemente sottostimato principalmente per due motivi: il primo è che molti specialisti la considerano una patologia di natura psicologica e il secondo è che molte donne sono riluttanti a parlarne. La vulvar vestibulitis è una sindrome caratterizzata da dolore al tatto all’apertura della vagina, quindi molte donne hanno dolore esclusivamente al tatto, di conseguenza ad essere compromessa è principalmente l’attività sessuale, che potrebbe essere dolorosa o addirittura impossibile da praticare. Ma anche la routine di vita è alterata, in quanto altre donne non riescono ad indossare vestiti stretti o svolgere attività che comportino una pressione sull’apertura della vagina. Un altro tipo di vulvodinia definita disestesica, invece è caratterizzata da un dolore cronico e un senso di bruciore alla vulva, a prescindere dallo stimolo tattile.

 

Dunque nello specifico il termine vulvodinia indica un dolore cronico localizzato nell’area vulvare e persistente da 3 a 6 mesi; può essere cronica, continua o intermittente, episodica (esacerbata spesso in fase premestruale). In realtà si tratta di una allodinia dell’area vulvare, ovvero di una sensazione alterata, una ipersensibilità nell’area vulvare provocata da uno stimolo di solito tattile. Infatti utilizzando un cotton fioc (swab test) sull’area vulvare determina una sensazione di puntura, o bruciore o comunque di dolore.

Viene talvolta indicata dallo specialista con termini più specifici in base alla localizzazione:

forma generalizzata quando i disturbi interessano gran parte della regione vulvare (perineo e regione anale compresi);
forma localizzata la più comune, quando i disturbi interessano solo una specifica zona, per esempio il clitoride;
vestibolodinia quando colpisce la regione vestibolare della vulva, o il punto di ingresso alla vagina.

Inoltre spesso può associarsi a sintomi vescicali, endometriosi, sindrome del colon irritabile, fibromialgia.

 

Come faccio a sapere se ho la vulvodinia?

 

Finalmente la divulgazione su questa tematica, sta spingendo molte donne a mettere da parte “inutili” imbarazzi e a rivolgersi all’ostetrica e/o ginecolog* , queste sono le domande ( e le risposte) che più frequentemente si rivolgono all* specialista:

<<Se ho dolore e bruciore qualche giorno dopo i rapporti sessuali può essere vulvodinia?>>
Il dolore e il bruciore nei giorni successivi a un rapporto ovviamente non sono fisiologici. Accertati dell’assenza di un’eventuale vaginite che spesso può determinare dolore nei rapporti e sanguinamenti. Il dolore e il bruciore fanno supporre che ci sia un coinvolgimento muscolare, quindi una probabile contrattura muscolare pelvica dell’elevatore dell’ano. In questo caso più che di vulvodinia, parliamo di sofferenza e contrattura dell’area pelvica, la quale rappresenta comunque un campanello d’allarme da non trascurare, ed è opportuno parlarne con uno specialista.

<<Quali sono, nello specifico, i campanelli d’allarme per la vulvodinia?>>
Dolore e bruciore sono senz’altro due campanelli d’allarme, talvolta sono avvertiti anche spontaneamente, senza aver avuto rapporti sessuali, come nel caso di pantaloni troppo aderenti. In caso di rapporti, è utile capire se il dolore perineale-vaginale-vulvare viene avvertito subito oppure il giorno dopo o al massimo i due giorni successivi. Ovviamente questi sono tutti sintomi da valutare durante una visita specialistica senza la quale è inadeguata la diagnosi.

<<Quali sono le terapie oggi disponibili?>>
Le terapie ad oggi disponibili aiutano il ripristino e la normalizzazione della cosiddetta allodinia, ovvero della aumentata percezione di una sensazione dolorosa nell’area vulvare. Alcuni di queste terapie sono di tipo farmacologico, ovvero composti che aiutano le fibre nervose alterate, che sono responsabili della allodinia. Alla terapia farmacologica è quasi sempre associata la riabilitazione muscolare che riveste un ruolo importante; tra queste vi sono la chinesiterapia (terapie di rilasciamento manuale) e la stimolazione elettrica (a cosiddetta TENS). Entrambe sono necessarie poiché nella vulvodinia la patologia infiammatoria della rete nervosa molto spesso è associata ad un dolore e a ipertono/contrattura della muscolatura pelvica, e quest’ultima a sua volta crea le condizioni per il persistere del dolore, chiudendo il circolo vizioso che lo automantiene.

 

Come risolvere la vulvodinia?

 

Nella nostra cultura spesso i genitali, il retto e tutto ciò che fa parte dell’intimità sono avvolti da un senso di vergogna e di colpa, aree psicologicamente ed energicamente rinnegate. Essendo in questo modo rifiutate, non è raro che le persone tendano a prendere le distanze da esse e provino tensione proprio in quelle zone. La guarigione di un bacino “maltrattato”, come afferma Steven Levine, passa anche per la restituzione di un po’ di rispetto e affetto per queste parti del corpo.

Questo significa passare da un atteggiamento di vergogna, colpa e rifiuto a uno di compassione e riconoscimento.
Altra cosa che ho imparato io stessa, come ostetrica specializzata nella riabilitazione del pavimento pelvico, è che il corpo non può essere considerato una macchina nella quale trovare la parte difettosa e aggiustarla, o tanto meno rimuoverla, poiché il corpo non è un insieme di parti componibili che possono essere rimpiazzate o riparate se difettose, ma è molto di più, e risiede nella sua natura la capacità di guarigione e rigenerazione, specie nel caso di patologie o sindromi perineali. E a questo proposito il più delle volte si tratta di cure che prevedono un lavoro d’equipe tra diversi professionisti, poiché non si può giungere alla conclusione che l ‘unica cosa da fare è imparare a convivere con la malattia, almeno non in questo caso! Dunque non è più una patologia da nascondere e sopportare (nonostante non sia facile parlarne neanche con le perone più vicine), in quanto esistono valide cure al fine di migliorare lo stile di vita della paziente, ma per far questo è necessaria una presa di coscienza da parte delle donne e degli stessi operatori sanitari che ancora faticano a diagnosticarla, nonostante si tratta di un disturbo fortemente stressante per la donna, con importanti conseguenze a livello fisico, psicosessuale, interpersonale e sociale.

Teresa Mastrota, Ostetrica dal 2012, ha intrapreso da subito l’attività di libero professionista operando a sostegno del benessere femminile dalla pubertà alla menopausa, delle famiglie con assistenza a gravidanze fisiologiche, travagli, puerperi e del neonato fino al primo anno di vita in tutto il territorio calabrese. Dal 2016 si è specializzata in rieducazione e riabilitazione perineale presso l’università Luigi Vanvitelli di Napoli.