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Depressione in gravidanza: come riconoscerla? Quali sono i sintomi e come intervenire?

L a salute mentale dopo la gravidanza viene spesso definita in termini di depressione postpartum (PPD), un disturbo che colpisce più di una donna su dieci entro un anno dal parto. La depressione in gravidanza è altrettanto comune, ma spesso è attribuita allo squilibrio ormonale e allo stress causati da questo importante cambiamento nella vita di una donna.
La gravidanza è solitamente un periodo felice, ma le donne incinta non sono immuni dalla depressione. Se una donna incinta ha già sofferto di depressione in passato, se sperimenta molta ansia o stress durante la gravidanza, se si sente poco circondata dai suoi affetti familiari e/o amicali, o se riferisce difficoltà nel suo rapporto coniugale, il rischio di sviluppare una depressione in gravidanza aumenta. Alcune future mamme non osano ammettere di sentirsi depresse o evitano di chiedere aiuto perché hanno paura di sentirsi giudicate.

La depressione in gravidanza può manifestarsi a varie intensità. Gli studi dimostrano che circa il 18% delle donne incinta soffre di depressione lieve durante la gravidanza e tra il 7% e il 12% delle donne può sperimentare una depressione moderata o grave. Anche i futuri padri possono essere vulnerabili alla depressione. Secondo diversi studi, la depressione colpisce dal 6,5% all’11,5% dei padri durante la gravidanza. Gli uomini che riferivano difficoltà in termini di sonno e che si sentivano meno sostenuti socialmente erano a maggior rischio di depressione. Anche i padri hanno le loro preoccupazioni durante la gravidanza e, come la madre, possono provare stress. Le coppie che aspettano un figlio hanno bisogno di esprimere le proprie aspettative, paure, pensieri ed emozioni senza sentirsi giudicate.

 

Depressione in gravidanza: quali sono i sintomi da riconoscere?

 

In alcuni periodi della gravidanza sono comuni sbalzi d’umore, affaticamento e disturbi del sonno e dell’appetito. Possono essere sintomi di depressione se sono più intensi e durano più a lungo della media.
Ecco altri sintomi di depressione in gravidanza a cui prestare attenzione:

· Tristezza costante
· Irritabilità o forte ansia;
· Perdita di interesse o piacere nelle normali attività;
· Sentimenti di disperazione, colpa e inutilità;
· Incapacità di concentrarsi o prendere decisioni;
· Troppo appetito o mancanza di appetito. Il cambiamento delle abitudini alimentari è più marcato del normale durante la gravidanza;
· Incapacità di dormire o sentirsi stanco;
· Pensieri macabri o tentativi di suicidio ricorrenti;

La depressione in gravidanza può anche portare a:

· Aborto spontaneo;
· Parto prematuro;

Se la depressione non viene curata durante la gravidanza, può portare alla depressione postpartum. La depressione postpartum è una malattia grave che può durare mesi dopo il parto. Può interferire con il legame che una madre avrà con il suo bambino.

 

Depressione in gravidanza: quali sono le possibili cause?

 

Secondo studi effettuati su gemelli omozigoti ed eterozigoti, è emerso che alcune donne possono essere naturalmente predisposte alla depressione, esiste infatti un contributo genetico nei disturbi dell’umore (depressione, disturbo bipolare, ecc.). Tuttavia, la causa della depressione nelle donne in gravidanza può anche essere collegata a un evento puramente esterno che potrebbe averla influenzata profondamente. La storia personale, il contesto della gravidanza e l’inconscio della futura madre, potrebbero svolgere un ruolo chiave nella comparsa della depressione: il suo desiderio di un bambino, il suo entourage e il suo ambiente, le relazioni che ha avuto con i suoi genitori durante la sua infanzia, l’impatto su di lei di possibili eventi traumatici, il desiderio reale di una gravidanza e non la scelta indotta dalla pressione sociale e culturale che vede nella maternità la risoluzione maggiore di una donna.
In ogni caso il trattamento della depressione in gravidanza, che sia di origine genetica o meno, richiede l’uso di farmaci come gli antidepressivi, sottoporsi a un esame clinico è sempre di vitale importanza.

 

Depressione in gravidanza: come gestirla?

 

Una donna incinta che si sente depressa o manifesta sintomi di depressione dovrebbe parlare con un* psichiatra o un* psicologo*. In molti casi, può essere utile includere il partner nel trattamento.
Depressione leggera o moderata
Diverse azioni possono aiutare a ridurre i sintomi depressivi, come mangiare bene, fare esercizio fisico regolarmente, dormire a sufficienza, fare corsi di accompagnamento alla nascita, cercare sostegno sociale e adottare misure di riduzione dello stress (esercizi di rilassamento, yoga, mindfulness, …). La psicoterapia con un* psicolog* o psicoterapeuta può essere necessaria per curare la depressione.
Depressione severa
Il farmaco può essere prescritto quando i sintomi depressivi sono gravi. Sebbene alcuni antidepressivi possano avere effetti collaterali su di te e sulla salute del tuo bambino non ancora nato, anche il mancato trattamento della depressione comporta dei rischi. Questo perché la depressione in gravidanza può aumentare la gravità dei sintomi depressivi dopo il parto. Una madre depressa può quindi interagire meno con il suo bambino e questo può ritardare la formazione del legame. Questo è il motivo per cui è importante discutere i pro e i contro dei farmaci con un* psichiatra. Questo ti aiuterà a fare la scelta migliore per te e il tuo bambino. Inoltre, i farmaci possono essere combinati con varie strategie di intervento utilizzate per trattare la depressione da lieve a moderata.

 

L’ansia nelle donne in gravidanza può essere un precursore o rivelatore di depressione?

 

Tre tipi di ansia sono stati identificati nelle donne in gravidanza, due dei quali sono specifici per il suo stato di gravidanza e non sono patologici: il primo ad esempio riguarda le preoccupazioni della madre riguardo alle condizioni future del bambino e al corso del parto. Le donne più giovani, più isolate e meno preparate sono spesso le più ansiose.
Un secondo tipo di ansia specifica per la gravidanza può derivare da preoccupazioni per la maternità e l’allattamento al seno. Può essere una prima gravidanza e quindi una “paura dell’ignoto” soprattutto perché la donna incinta può essere isolata senza che una donna, sua madre ad esempio, abbia potuto trasmetterle un’esperienza rassicurante a questo proposito. La donna incinta può anche aver avuto una difficile esperienza di maternità e allattamento al seno in condizioni di stress durante un parto precedente. Per questo motivo è importante farsi accompagnare nel percorso alla nascita da un’ostetrica, che aiuti la futura mamma a prendere coscienza di questa nuova condizione e che l’alleggerisca da dubbi, paure e perplessità.
Il terzo tipo di ansia può manifestarsi con sintomi come: sonno gravemente disturbato, forti reazioni di ansia inappropriate alla situazione vissuta, o anche idee bizzarre, che provengono dall’immaginazione, ma che parassitano il pensiero razionale, come la paura della fine del mondo, la paura di nemici immaginari, ecc. Quest’ultimo tipo di ansia richiede un aiuto psichiatrico e psicologico a priori, a differenza dei primi due tipi che possono essere curati da ostetriche e dall’amore e comprensione familiare e amicale.

 

Depressione in gravidanza: qualche consiglio

 

1. Non isolarti
La depressione prenatale può avere molte origini. All’inizio della gravidanza, spesso ci si sente male e stanchi. A volte ci si preoccupa della maternità, della situazione finanziaria o della relazione. Molte donne rispondono isolandosi, ma questo alimenta la depressione. Ci diciamo che non siamo buoni a niente, ci nascondiamo e non vogliamo parlare con nessuno. In queste condizioni, diventa ancora più difficile ammettere a qualcuno che non si sta bene.

 

2. Sii il più onesta possibile con la tua ostetrica e con i medici
Una delle cose migliori da fare è essere onesta sui tuoi sentimenti e preoccupazioni. Spesso ci si preoccupa dei giudizi che potremmo ricevere con il rischio di tenere tutto dentro. L’istinto materno è solo un costrutto sociale, ogni donna non nasce “naturalmente” con i geni materni. Non sa cosa fare a priori e non tutto sarebbe giusto a prescindere. Riconoscere queste difficoltà è invece un grande segno di responsabilità e coscienza. Aprirti e accogliere i tuoi pensieri, emozioni, sensazioni fisiche è la prima cosa da fare

 

3. Non aspettare che passi
Durante la gravidanza molti sintomi compaiono, scompaiono e riappaiono senza sapere perché. Sintomi come la depressione possono non sparire come le nausee mattutine o il senso di stanchezza. Parlare con un professionista dei tuoi sintomi depressivi è un grande passo avanti: puoi ottenere aiuto, invece di restare sola con la tua disperazione.

 

4. Prepara un piano d’azione
La depressione ti convince che sei inutile, che sei pigra e che inevitabilmente sarai una cattiva madre. Non importa quante persone abbiano cercato di tirarti su di morale, probabilmente non le ascolterai.
Può essere di aiuto scrivere semplici elenchi di cose da fare. Piccole cose come “lavarmi i denti”, “chiamare l’ostetrica” e “leggere un capitolo di questo libro sulla gravidanza” può bastare a farti sentire come se non avessi sprecato la tua giornata.

 

5. Partecipa ai corsi di accompagnamento alla nascita
La gravidanza è un periodo di trasformazione che coinvolge la mente e il corpo di una donna. È anche un momento di profondo cambiamento per la coppia e la famiglia.
Il corso di accompagnamento alla nascita è un percorso composto da diversi incontri che offre ai futuri genitori un’occasione di confronto e di scambio sull’esperienza dell’attesa e del parto, sulla gestione del dolore del parto, sull’allattamento e le prime cure del bambino.

 

6. Hai il diritto di assumere farmaci
Assumere antidepressivi è rischioso in gravidanza? Recenti ricerche mostrano che il rischio per il bambino è minimo. Parlane con neuropsichiatri, psichiatri, ostetriche, ginecologi e psicologhe. Non stai facendo nulla di male: al contrario, ti stai assicurando di stare abbastanza bene perché questo bambino possa crescere in un ambiente sereno.

7. La depressione in gravidanza non necessariamente sarà presente anche dopo il parto
Se soffri di depressione in gravidanza, non dare per scontato che continuerà necessariamente dopo il parto. Con il giusto trattamento e il supporto necessario, sarai in grado di gestire i sintomi se si ripresentano. Dopo la nascita del tuo bambino, incoraggia i tuoi amici e la tua famiglia a farti visita. Non esitare a chiedere aiuto e ricorda che avere un bambino è un vero sconvolgimento. Non essere troppo dura con te stessa.

8. Non esagerare
Prenditi del tempo per te stessa, ma non esagerare con gli impegni. Prenditi cura di te!

9. Non sei una cattiva madre
Non confrontarti con altre donne e non confrontare la loro gravidanza con la tua. Se stai attraversando un periodo difficile, questo non ti rende una persona cattiva o una cattiva madre.
Sii gentile nei confronti di te stessa

 

Non cadere vittima della retorica dell’istinto materno

 

(pezzo tratto da un articolo comparso su The Vision, scritto da Jennifer Guerra)

Parlare di istinto materno o, meglio, della sua assenza in Italia è un tabù. In un Paese in cui la questione della natalità viene affrontata con una farsa imbarazzante come quella del Fertility Day, con tanto di opuscoli raffiguranti clessidre per ricordare che il tempo scorre e che il tuo utero ha una data di scadenza, o in cui si permette alle associazioni pro-vita di appendere enormi manifesti in cui si paragona l’aborto al femminicidio, qualsiasi discorso riguardante la complessità della maternità si perde in lotte ideologiche e moralismi. Dopotutto, come afferma la sociologa Orna Donath nel suo saggio Regretting Motherhood: A Sociopolitical Analysis, non si può parlare di maternità senza ricollegarla all’amore nei confronti dei bambini, che nel contesto delle società contemporanee occidentali è considerato “sacro” ed è visto come “un test della morale femminile”. Così, l’associazione tra l’amore e la maternità viene istituzionalizzata e una “buona donna”, capace cioè di sentimenti buoni, è anche automaticamente una “buona madre”. Ovviamente, chi non adora i bambini non può che essere “cattiva”.

Molti studi, a partire dal saggio del 1979 Is there such a thing as “maternal instinct”? di David Cutts, hanno posto in dubbio che l’istinto materno – o meglio quell’insieme di credenze e luoghi comuni associati alla maternità che viene impropriamente definito “istinto materno” – esista. Non esiste nemmeno una definizione moderna di questo fenomeno, che è assente nelle enciclopedie, ma che possiamo trovare ancora nell’edizione del 1971 del dizionario Larousse, dove viene definito “una tendenza primordiale che crea, in ogni donna normale, un desiderio di maternità e, una volta soddisfatto questo desiderio, spinge la donna a badare alla protezione fisica e morale dei figli”. Tralasciando l’inciso che parla di “donne normali” e che ancora perpetra quella divisione manichea di cui si parlava sopra, il desiderio di maternità non è affatto una tendenza primordiale.

Secondo la sociologa Laura Kipnis, l’istinto materno è un costrutto sociale nato intorno all’epoca della Rivoluzione Industriale. Prima le donne avevano molti figli per motivi pratici ed economici: più figli equivalevano a più braccia per lavorare. Il rapporto con loro era quanto di più diverso potesse esistere dalla classica famiglia felice. Spesso, nelle famiglie più abbienti, a poche ore dal parto i neonati venivano affidati alle balie e crescevano lontano dalle madri, che comunque tendevano a mantenere con loro un forte distacco emotivo. Gli studiosi, in proposito, arrivano a parlare, in riferimento al XVIII secolo, di “mancanza di sentimento dell’infanzia”, una rassegnazione totale delle famiglie di fronte alla morte dei bambini, a causa dell’altissimo tasso di mortalità. Con la svalutazione del valore economico dei figli, in conseguenza alla maggiore disponibilità di lavoro, e con la ridefinizione dei ruoli maschili e femminili – uomini in fabbrica, donne in cucina – i figli cominciarono a diventare un peso e non più una risorsa, di cui si doveva occupare solo e unicamente chi restava in cucina, ovvero la madre. Poiché smettere di procreare sembrava impossibile e assurdo, si optò per una “romanticizzazione” della maternità, di modo che le donne non fossero più obbligate a fare figli per necessità, ma per vocazione. Insomma, quando i figli non servivano più ad aumentare il patrimonio del nucleo famigliare, con il loro lavoro nelle famiglie più povere o con il matrimonio in quelle più ricche, l’affetto e l’amore della madre sembravano le uniche ragioni plausibili per la loro esistenza.

Ma se l’istinto materno non esiste, com’è che siamo in 7 miliardi su questo pianeta? La risposta è molto semplice. La biologia ci ha insegnato che ogni essere vivente, vegetale o animale che sia, essere umano compreso, è spinto a trasmettere il proprio codice genetico. Questo tuttavia non riguarda esclusivamente gli individui femminili. Da un punto di vista evolutivo, però, l’uomo si è differenziato dagli animali. Mark Elgar, professore di Biologia evolutiva all’Università di Melbourne, fa notare come il motore di tutto sia il desiderio sessuale e non un non meglio chiarito “istinto materno”. In una popolazione animale, una preferenza genetica che ripudi il sesso non può stabilirsi o mantenersi, perché gli individui sessualmente inattivi non possono conservarsi. Ma l’uomo, sfruttando le sue caratteristiche evolutive, ha trovato alcuni modi ingegnosi per continuare a fare sesso senza riprodursi. Tramite la contraccezione, gli uomini sono riusciti a scindere il sesso dalla riproduzione. Quindi, in termini di evoluzione biologica, una preferenza genetica per l’attività sessuale non può equivalere all’istinto materno. Se fosse il solo istinto di conservazione a guidarci, le persone childfree non sarebbero interessate al sesso. Non so voi, ma io lo sono abbastanza.

Non esiste nessun istinto materno, nel senso che non c’è nessuna “tendenza primordiale al desiderio di maternità”, come invece si sosteneva sul dizionario Larousse. Al massimo c’è un desiderio di riprodursi e un desiderio di trasmettere il proprio codice genetico, che però non riguarda solo le femmine, ma indistintamente tutti gli individui.
Più che un fatto biologico, è un costrutto sociale che ha origini storiche ben precise. Simone de Beauvoir, ne Il secondo sesso, pubblicato nel 1949, ha dimostrato come i pregiudizi sociali e biologici legati alle donne abbiano contribuito a relegarle in una posizione secondaria. Questo perché non basta la maternità a spiegare la condizione femminile, bisogna necessariamente sommare a essa il contesto socio-economico-patriarcale in cui è stata inserita nella Storia. Oggi la donna è libera di decidere molti aspetti della sua vita e di esercitare i suoi diritti civili, ma la maternità sembra ancora un tasto dolente. Chi sceglie di essere madre, chi non può esserlo e chi sceglie di non riprodursi è parimenti vittima del mito dell’istinto materno. Le madri devono continuamente competere fra loro per dimostrare chi sia la migliore, la più brava a perseguire quell’istinto inesistente. Chi non può avere figli è continuamente frustrata dal senso di colpa per non aver potuto realizzare quel desiderio. Chi non vuole assolutamente avere figli si sentirà continuamente in dovere di dare spiegazioni. Il desiderio di fare un figlio certamente esiste ed è una sensazione profonda, vera e bellissima, ma non è un desiderio esclusivamente femminile e non è legato a chissà quale caratteristica biologica, tanto che sembra che sempre più spesso siano gli uomini a voler mettere al mondo un bambino. Nessuna di noi si deve sentire in colpa nei confronti dell’istinto materno. Con buona pace del dizionario Larousse, madri o non madri, siamo tutte donne normali.

 

Ci siamo occupati di questa tematica intervistando per la nostra rubrica DICA 33, la dottoressa neuropsichiatra Tatiana Curti. Rivedi qui la puntata

 

 

Giornalista, direttirice e fondatrice di Io Calabria Magazine e Io Calabria Cosenza. Da sempre ho esplorato, indagato e lavorato con il "femminile" nelle sue svariate espressioni di vita. Culturali, di genere, imprenditoriali.