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La Calabria oltre gli stereotipi e narrazioni tossiche raccontata da Nino Princi

L uoghi comuni e stereotipi: che cosa sono? Si tratta di nozioni abbastanza simili. Designano idee, concezioni tanto diffuse, quanto poco motivate. Consistono soprattutto in generalizzazioni, applicate in particolare a intere categorie sociali “Italiani, pizza, mafia e mandolino”, “Le donne sono volubili”. Sono il frutto della tendenza del nostro cervello a operare “in economia” e servono per lo più a giustificare abitudini e comportamenti, senza approfondirne le vere origini, e senza metterli in discussione. Molto spesso sono l’eredità di vecchie tradizioni di pensiero, a cui ci adeguiamo anche senza rendercene conto; la loro fragile consistenza si rivela solo quando il contesto socioculturale in cui si sono formati entra in crisi e cambiano le narrazioni.
Non senza resistenze, però: una delle caratteristiche degli stereotipi è di essere “duri a morire”, e ad essi si attaccano le persone che per ragioni culturali o socioeconomiche vivono con disagio i cambiamenti. Quando luoghi comuni e stereotipi guidano il nostro modo di vedere le cose e di giudicarle, allora si trasformano in pregiudizi e diventano negativi non solo sul piano della conoscenza corretta della realtà, ma anche su quello della convivenza e delle relazioni sociali.

 

Stereotipi e giudizio storico

 

Talvolta stereotipi e pregiudizi finiscono con l’influenzare gli stessi studi scientifici, storiografici, culturali, di genere ed entrano prepotentemente anche nelle narrazioni mainstream: libri, spettacoli, film, serie tv.
Cosa accade se questo meccanismo avviene in maniera sistemica anche nella narrazione di una Regione o del Meridione in generale?

 

Ne parla Nino Principe nel suo ultimo libro “La Calabria è un calzino spaiato” edito da Bertoni Editore

 

La Calabria è ancora, per fortuna, un calzino spaiato rispetto ai flussi omologanti del mainstream narrativo attuale. Al netto delle inclinazioni individuali, vale la pena approfondire le molteplici vie che un autore oggi potrebbe percorrere in termini di racconto di questa realtà. Il testo è costituito da due parti: nella prima, vi sono una serie di considerazioni dell’autore sul modo di raccontare la Calabria (e per esteso il Meridione) da parte dell’industria culturale mainstream e su alcune trappole narrative che chiunque si accinga a scrivere su questo tema subisce o agisce. La seconda parte è costituita da nove racconti in tutto o parzialmente alternativi rispetto al modus operandi delle narrazioni attuali a vocazione più tossica e commerciale. Un testo bifronte, una ricerca narrativa aperta e mostrata nel suo farsi, utile per chi scrive e per chi legge, in cui questa Regione si presenta, prismaticamente, come un luogo dalle mille e una storia. Un tentativo appassionato di andare oltre i limiti anchilosanti che le sovranarrazioni, più o meno consapevolmente, impongono.

Nino Princi in un articolo sul Al di là dello Stretto puntualizza: <<Si nota come lo stereotipo cannibalizzi le storie fino a divorarsele completamente e a cercare altro cibo. E dunque, com’è possibile un appiattimento simile in un’epoca con un livello di accesso alle informazioni così alto? Com’è possibile che ancora sopravvivano e prolìferino narrazioni così tossiche e puerili? Come è possibile farsi violentare da uno stereotipo, nonostante se ne riconosca la pericolosità criminale? (…) Racconto pregiudizievole, dittatura della narrativa topografica, penalizzazione di alcune realtà a discapito di altre. Per non parlare della questione linguistica. L’approssimazione arriva a livelli talmente grotteschi che, ogni volta che un attore si trova a rappresentare un personaggio calabrese, si mette a parlare con un accento siciliano da Franco e Ciccio condito da qualche raddoppiamento fonosintattico per dare l’impressione di avere po’ studiato la parte. Non sembra di essere tornati agli anni del dopoguerra quando Domenico Modugno, agli inizi della carriera, nonostante fosse pugliese, si spacciò per cantante siciliano perché altrimenti non era riconoscibile agli occhi del pubblico? Non sembra di essere tornati all’epoca della New Hollywood quando il lucano Coppola, i siciliani Scorsese e Pacino, il molisano De Niro hanno scoperto e codificato con precisi e rigidi stilemi attoriali e cinematografici l’estetica del sud italico agli occhi del mainstream capitalistico-protestante occidentale?>>

Prima di parlare di sé, i calabresi debbono contrastare le dicerie e le calunnie costruite all’esterno. Bisogna sempre dimostrare qualcosa, controbattere a qualcuno. Come osserva Francesca Viscone, nel suo La globalizzazione delle cattive idee. Mafia, musica, mass media (Rubbettino, 2005), dover dichiarare, giustificare, rivendicare la «propria identità a partire da ciò che non si è» è una sorta di condanna.
Il carattere subdolo e perverso degli stereotipi è che costringono gli interessati a difendersene e spesso li spingono a rispondere con stereotipi di segno contrario, con retoriche identitarie. Per contrastare il pregiudizio anche i locali hanno spesso ceduto al luogo comune, alla retorica, o hanno elaborato immagini ostili nei confronti degli altri. Non di rado, per rigettare le immagini negative, si è scelta la via della chiusura, della difesa ad oltranza, della rinuncia alla critica dei limiti, dei contrasti, degli aspetti meno edificanti della propria storia e della propria realtà. Si origina così una tendenza a negare tutte le immagini e le descrizioni che arrivano dall’esterno. Il risultato perverso di questa gratuita costruzione di immagini negative (talora anche interne) è quindi che tendono a generare risposte risentite e difese d’ufficio retoriche e spesso edulcorate. Nino Princi ne La Calabria è un calzino spaiato fa invece una critica costruittiva e dona al lettore narrazioni e scenari differenti.

Ne parlo insieme all’autore venerdì 24 giugno, ore 18.30 presso Ubik Cosenza in via XIIV Maggio 49/P Cosenza

 

Potrebbe essere un'immagine raffigurante libro e testo

Giornalista, direttirice e fondatrice di Io Calabria Magazine e Io Calabria Cosenza. Da sempre ho esplorato, indagato e lavorato con il "femminile" nelle sue svariate espressioni di vita. Culturali, di genere, imprenditoriali.