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E tu che maschio sei? Come riconoscere la mascolinità tossica indossando una mascherine Ffp2 rosa (come quelle della Polizia di Stato)

La notizia spopola ovunque: la Polizia di Stato dice no alle mascherine Ffp2 rosa giudicate “indecorose” in quanto rosa. Le mascherine Ffp2 consegnate alla polizia sono di colore rosa e, secondo il sindacato, questo non è un colore da ritenersi adeguato alla professione svolta dagli agenti: “È chiaro che la rilevanza delle funzioni svolte dalla Polizia di Stato impone all’Amministrazione di preservare il decoro dei propri operatori, evitando che gli stessi siano comandati a svolgere attività istituzionale con dispositivi di protezione di un colore che risulta eccentrico rispetto all’uniforme e rischia di pregiudicare l’immagine dell’Istituzione” scrive il sindacato di polizia Sap al capo della Polizia Lamberto Giannini.

Così come evidenziato la scrittrice ed attivista Carlotta Vagnoli, il disappunto della polizia sembra nascere dallo stereotipo del colore rosa. Se il rosa è un colore femminile significa automaticamente che ad esso vengono associati tutti gli stereotipi di genere collegati al “sesso debole”, come la fragilità e la delicatezza, assolutamente distanti dalla virilità che i poliziotti vogliono giornalmente evidenziare come specchio della loro professione.

Prendiamo quindi spunto da questo ultimo fatto di cronaca, per analizzare quali valori e caratteristiche deve possedere, secondo questi presupposti,  “un vero uomo”.

 

E tu che maschio sei? Come riconoscere la mascolinità tossica

 

La mascolinità tossica è un insieme di comportamenti e credenze che comprendono il sopprimere le emozioni, mascherare il disagio o la tristezza, mantenere un’apparenza di imperturbabilità, la violenza e il privilegio come indicatore di potere. Questa (pessima) costruzione del sé, avviene già nei primissimi anni di vita dei bambini di sesso maschile, quando si insegna loro che non è possibile esprimere apertamente le proprie emozioni, che devono sempre essere duri e che qualsiasi cosa al di là di queste caratteristiche li renderà “femminili”, quindi deboli, di poco valore, sicuramente non dei veri uomini.
La mascolinità tossica limita quindi lo sviluppo delle naturali inclinazioni e sentimenti degli uomini, ma fa lo stesso anche con le donne: insegna ai primi a rincorrere il potere e alle seconde a compiacerlo (rappresentando appunto il loro tradizionale e stereotipato ruolo di genere). La mascolinità tossica è nociva perché soffoca. Impedisce a un uomo di essere umano, di provare le emozioni che accomunano tutta la nostra specie, e gli impone di essere forte, sempre, costantemente, anche quando invece sente di avere bisogno di sostegno e conforto.

 

Il patriarcato fa male anche agli uomini

 

La mascolinità tossica impedisce quindi ad uomo di indagare senza condizionamenti la propria identità. La pressione sociale ad adattarsi a determinati modelli di comportamento influenza irrimediabilmente le persone e li allontana dalla propria autodeterminazione. Il concetto stesso di virilità è una maschera soffocante che impone agli uomini atteggiamenti e comportamenti che possono essere molto distanti dal loro intimo sentire e dalla loro reale volontà. Intossica, letteralmente, le loro vite e quelle di chi hanno intorno. Molti uomini, educati a trattare con vergogna e rigetto la propria emotività, si trovano a fare i conti con sindromi depressive anche gravi senza che abbiano i mezzi per affrontarle, perché sono stati educati a non chiedere aiuto. Inoltre tutti quegli uomini che non si conformano all’aspettativa richiesta perché non ne posseggono i requisiti di partenza (perché sono disabili, o fisicamente deboli, o hanno un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità) soffrono per quella che recepiscono come una sconfitta e una mancanza personale.

 

Di contro: esiste la femminilità tossica?

 

Su Bossy BENEDETTA GEDDO scrive: “C’è anche chi parla dell’esistenza della “femminilità tossica”, che però non è altro che un’altra faccia della mascolinità tossica stessa, non un problema a parte, ed entrambe discendono da una e una sola fonte, ossia il sistema patriarcale. Alcuni esempi solitamente riportati come comportamenti tipici della “femminilità tossica” sono: usare le mestruazioni come scusa per un comportamento maleducato o brusco; chiedere aiuto per far fare a un uomo un compito pesante da un punto di vista fisico (spostare scatoloni o portare valigie o cose simili); farsi offrire cene e drink e biglietti del cinema proprio in quanto donna, sapendo che “tanto l’uomo deve pagare sempre”. Ma tutti questi comportamenti rientrano perfettamente nell’idea della donna che il patriarcato ha: emotivamente instabile per colpa del ciclo mestruale, debole fisicamente, indifesa, economicamente dipendente. Ed ecco che il “vero uomo” arriva a salvarla e a farle da scudo, proprio come suggerisce e richiede la mascolinità tossica.

Inoltre, la mascolinità tossica ha come obiettivo finale il potere, perché è considerato l’unico modo per trionfare nella società; quella che viene definita come “femminilità tossica” ha invece come traguardo la sopravvivenza: se si insegna alle donne che non sono niente di più del loro corpo e della loro funzione sessuale, per esempio, allora non ci si può stupire che poi comincino a usare entrambi come strumento per tirare avanti. È la società patriarcale in cui viviamo ad aver fatto sì che tutta la femminilità venisse vista come “tossica”, come sbagliata, invalidante, difettosa, come motivo di discriminazione.”

 

Un genitore maschio è un papà non un mammo

 

Se un padre cambia i pannolini e contribuisce all’accudimento del figlio, non è certo da considerare un “mammo” o un padre speciale, ma semplicemente un uomo che vive come dovrebbe la propria paternità. Con estrema amarezza, infatti, va rilevato che ancora oggi non si può parlare di parità genitoriale a tutti gli effetti. Le stesse donne che affermano con orgoglio che il proprio marito le aiuta con i figli o con le faccende domestiche, non fanno altro che alimentare questa discriminazione di genere, sottintendendo che si tratta di una eccezione che conferma la regola. Fermo restando che il rapporto mamma-neonato costituisca una relazione privilegiata, tuttavia è pur vero che sin dall’inizio è importante che il padre instauri immediatamente col piccolo un rapporto speciale, distinguendosi da tutte le altre persone che orbitano intorno alla vita del bambino. Egli, in altri termini, non deve limitarsi a essere una figura autoritaria che provvede al sostentamento economico della famiglia, in base a un obsoleto e antiquato schema patriarcale, ma deve piuttosto rappresentare un sostegno emotivo per i propri figli.
Dire che il papà del proprio figlio “aiuta”, significa sottintendere che svolge un compito che sostanzialmente non gli spetta. Dietro alla parola mammo, ci sono quindi stereotipi ancora non superati, chiamare un papà, mammo, equivale a dirgli che non si trova al suo posto, quando invece, è esattamente dove e con chi vuole essere, nella maniera che più ritiene opportuna.

 

Un modo altro di essere uomini

 

La mascolinità tossica ha tolto agli uomini il diritto alla fragilità, alla gentilezza, alla sensibilità. L’empatia. E così come sottolinea Lorenzo Gasparrini in Perché il femminismo serve anche agli uomini, Eris edizioni, il principale inganno che la società crea nei pensieri e nei gesti degli uomini è l’illusione della loro libertà. Gli uomini non si riconoscono come vittime di stereotipi o costrizioni. La cultura dominante dice che c’è un solo modo di essere uomini. L’uomo deve essere sicuro di sé, autorevole, non deve mai manifestare emozioni e debolezza, può fare quello che vuole senza dover chiedere mai. Ma la verità è che esistono tanti modi di essere uomini, e sono tutti migliori di questo. L’autore ci propone un’alternativa a partire dalle riflessioni fondamentali dei movimenti femministi: la maggior parte dei problemi personali, relazionali, professionali che gli uomini hanno derivano da quello stesso sistema patriarcale e gerarchico che i femminismi per anni hanno descritto e analizzato. E ci mostra come questi possano essere utili anche agli uomini per riconoscere e decostruire le dinamiche di forza che li costringono in questa situazione.